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Per la Suprema Corte la polizza di responsabilità civile del figlio copre anche i danni cagionati al genitore, se non convivente (CASS.CIV., SEZ. VI – 3, ORD., 23 SETTEMBRE 2021 N. 25849)

Per la Suprema Corte la polizza di responsabilità civile del figlio copre anche i danni cagionati al genitore, se non convivente (CASS.CIV., SEZ. VI – 3, ORD., 23 SETTEMBRE 2021 N. 25849)

Clausola poco chiara: possibile, allora, includere madre e padre tra i soggetti coperti dall'assicurazione a
fronte dei danni provocati dal figlio (Cass. civ., sez. VI – 3, ord., 23 settembre 2021, n. 25849).
La querelle giudiziaria è originata dal capitombolo subito da una donna e provocato dal cane di proprietà del
figlio. Ricostruito facilmente l'episodio: il quadrupede si è liberato dal guinzaglio che era in mano al ragazzo e
si è mosso verso la donna, causandone così la caduta.
Alla richiesta di risarcimento presentata dalla signora, però, la compagnia assicurativa oberata della
«copertura per i danni causati dal ragazzo» ha risposto picche. Consequenziale, allora, l'azione legale della
donna, che cita in giudizio il figlio, e quest'ultimo «chiama a garanzia la compagnia di assicurazione», la quale
ribatte eccependo che «il danno causato ai genitori è escluso dalla copertura assicurativa».
In Tribunale la posizione della donna viene ritenuta legittima, e viene chiarito che «l'esclusione dei genitori»
dalla copertura assicurativa «vale solo ove conviventi» col figlio.
Di parere opposto, invece, i Giudici d'Appello, i quali, prendendo in esame le condizioni della polizza,
spiegano che «i genitori non sono da considerare come terzi danneggiati, a prescindere dalla loro convivenza
con il figlio» che ha causato il danno. Per i Giudici di secondo grado, quindi, «i danni causati ai genitori sono
sempre e comunque esclusi dalla copertura assicurativa».
Nodo gordiano nella vicenda è la specifica clausola della polizza assicurativa con cui si identificano i soggetti
terzi non coperti per i danni arrecati dal ragazzo. Più in dettaglio, l'elenco comprende «il coniuge, i genitori, i
figli, gli altri parenti ed affini con loro conviventi, nonché gli addetti ai servizi domestici».
I Giudici della Cassazione, chiamati dalla signora a decidere sulla richiesta risarcitoria e sulla operatività della
copertura assicurativa, spiegano che, Codice Civile alla mano, «se la clausola è predisposta da un solo
contraente, la scarsa chiarezza del testo va imputata ad esso, non avendo l'altro contraente dato alcun
contributo alla redazione». Chiaro, quindi, l'obiettivo di «tutelare l'affidamento del contraente che non ha
redatto il contratto, ossia il significato che legittimamente costui si aspettava dalla clausola». Va poi precisato
che «l'interpretazione contra stipulatorem presuppone il dubbio, ossia presuppone che, in base alle regole di
interpretazione correnti (testuali, sistematiche, ecc.), siano ricavabili almeno due significati possibili», e ciò
«rende il significato non univoco e giustifica la tutela del contraente cui la clausola è imposta».
In questa vicenda, «da un lato può dirsi che la convivenza, essendo riferita sintatticamente ai soli “altri
parenti ed agli affini”, è rilevante solo per costoro (argomento testuale); per altro verso, però, questa tesi può
essere disattesa dallo stesso argomento testuale, osservando come il riferimento alla convivenza, pur posto
alla fine della elencazione dei soggetti esclusi, ben può riferirsi a tutti, e non solo a quelli per ultimi
menzionati, e che comunque la norma esclude dai danneggiati assicurati i domestici, e non può che farlo in
ragione della loro convivenza con il danneggiante, in quanto li considera “addetti ai servizi domestici”».
Vi è poi anche un ulteriore argomento pragmatico, ossia quello attento alle conseguenze (tra le quali anche
quelle di tipo logico): «se il requisito della convivenza fosse riferito ai soli affini (oltre che agli altri parenti), il
danno al fratello non convivente sarebbe coperto, quello al genitore non convivente no, e non è chiaro
perché». Evidentemente «il testo della clausola non è univoco, e non lo è per il modo in cui è stata redatta»,
osservano i Giudici.

Ciò rende plausibile la richiesta risarcitoria avanzata dalla donna. Su di essa, però, dovranno comunque
pronunciarsi nuovamente i Giudici d'Appello, tenendo conto delle osservazioni fornite dai magistrati della
Cassazione.
Presidente Amendola – Relatore Cricenti
Ritenuto che:
1. - T.R. ha subito danni per essere stata fatta cadere per terra dal cane di suo figlio, S.C. , svincolatosi
improvvisamente dal guinzaglio. Poiché la assicurazione, la Helvetia Compagnia Svizzera d'Assicurazioni, che
garantiva copertura per i danni causati dal Sorgi non ha inteso risarcire, la T. ha citato in giudizio il figlio, che
ha chiamato a garanzia la compagnia di assicurazione, la quale si è costituita ed ha eccepito che il danno
causato ai genitori è escluso dalla copertura assicurativa.
2. - Il Tribunale ha accolto la domanda, sul presupposto che l'esclusione dei genitori valeva solo ove fossero
conviventi, cosi intendendo l'art. 24 delle condizioni di polizza, mentre, al contrario, la Corte di Appello di
Roma, ha ritenuto che i genitori non fossero da considerare come terzi danneggiati, a prescindere dalla loro
convivenza con il danneggiante, ossia che, in base a quella clausola, i danni causati ai genitori, fossero, per
l'appunto, sempre e comunque esclusi dalla copertura.
3. - Ricorre T.R. con un motivo. Si è costituita la Helvetica Compagnia Svizzera di Assicurazioni, ed ha
chiesto, con controricorso, il rigetto di quel motivo.
Considerato che:
5. - Con l'unico motivo di ricorso, la ricorrente denuncia violazione degli artt. 1362,1363,1370 e ss. c.c.
La tesi della ricorrente è che la Corte di Appello ha innanzitutto disatteso il criterio letterale di
interpretazione, in base al quale avrebbe dovuto ricavarsi che l'esclusione riguarda i parenti, tutti, quali che
siano, purché conviventi, e che dunque la copertura opera se il danno è causato ai parenti, genericamente
intesi, dunque anche genitori non conviventi.
Inoltre, secondo il ricorrente, la decisione impugnata ha disatteso le regole di interpretazione del contratto,
previste dagli artt. 1362 c.c. e ss. in quanto la corte si sarebbe comunque fermata ad una interpretazione
letterale, senza andare oltre, ossia senza tenere conto della ratio della clausola, che è quella di escludere
copertura quando il rischio di danno è maggiore, attesa, per l'appunto, la convivenza.
Inoltre, cont. alla corte di avere disatteso la ratio dell'art. 1370 c.c., in quanto l'interpretazione della clausola,
perlomeno, doveva ritenersi dubbia, e far propendere per un significato sfavorevole al predisponente.
6. - Il motivo è fondato, nei termini che seguono.
7. - La clausola del cui significato si dis uta nell'individuare i soggetti che non sono considerati terzi, ossia an
8 ai-quali-non è coperto da polizza, così li elenca: "il coniuge, i genitori, i figli delle persone di cui al punto a),
gli altri parenti ed affini con loro conviventi, nonché gli addetti ai servizi domestici".
Se la tesi per la quale la convivenza è rilevante solo quanto agli altri parenti, ed agli affini, con esclusione
quindi dei genitori che non sono mai terzi, convivano o meno con il danneggiante, tesi basata sulla struttura
sintattica della clausola, ossia che fa leva sul fatto che il termine "conviventi" è posto subito dopo "gli altri
parenti ed affini", e dunque relativo solo a questi ultimi, potrebbe avere dalla sua una qualche ragione;
meglio, la sola ragione letterale; se ciò può sostenersi, tuttavia anche la tesi opposta ha delle ragioni a suo
favore, vuoi perché non è detto che la collocazione sintattica del termine "conviventi" sia decisivo, vuoi per
la ratio della esclusione che potrebbe ben rinvenirsi nella convivenza, per via del fatto che quest'ultima
rende più frequente il rischio di danni, e che questa ratio possa sostenersi lo si ricava dalla esclusione, tra i
danneggiati coperti da assicurazione, dei domestici, esclusione che è dovuta non già al loro rapporto di
parentela con il danneggiante, ma, per l'appunto, alla convivenza con quest'ultimo.
Questa corte ha avuto modo di osservare che nell'interpretazione del contratto di assicurazione, che va
redatto in modo chiaro e comprensibile, il giudice non può attribuire a clausole polisenso uno specifico
significato, pur teoricamente non incompatibile con la loro lettera, senza prima ricorrere all'ausilio di tutti gli
altri criteri di ermeneutica previsti dagli artt. 1362 c.c. e ss., e, in particolare, a quello dell'interpretazione
contro il predisponente, di cui all'art. 1370 c.c. (Cass. 668/ 2016; Cass. 10825/ 2020).
L'art. 1370 c.c. ha una precisa ragione: se la clausola è predisposta da un solo contraente, la scarsa chiarezza
del testo va imputata a costui, non avendo l'altro dato alcun contributo alla redazione. Si può dire che tutela
l'affidamento del contraente che non ha redatto, ossia il significato che legittimamente costui si aspettava
dalla clausola.
Resta evidente che l'interpretazione contra stipulatorem presuppone il dubbio: ossia presuppone che, in
base alle regole di interpretazione correnti (testuali, sistematiche, ecc.), siano ricavabili almeno due significati
possibili; che è ciò che rende il significato non univoco e giustifica la tutela del contraente cui la clausola è
"imposta".
Da un lato, può dirsi che la convivenza, essendo riferita sintatticamente ai soli "altri parenti ed agli affini" è
rilevante solo per costoro (argomento testuale), per altro verso però, questa tesi può essere disattesa dallo
stesso argomento testuale osservando come il riferimento alla convivenza, pur posto alla fine della
elencazione dei soggetti esclusi, ben può riferirsi a tutti, e non solo a quelli per ultimi menzionati, e che
comunque la norma esclude dai danneggiati assicurati i domestici, e non può che farlo in ragione della loro
convivenza con il danneggiante, in quanto li considera "addetti ai servizi domestici". Infine, conta l'argomento
pragmatico, ossia quello attento alle conseguenze (tra le quali anche quelle di tipo logico): se il requisito della
convivenza fosse riferito ai soli affini (oltre che agli altri parenti) il danno al fratello non connivente sarebbe
coperto, quello al genitore non convivente no, e non è chiaro perché.
Dunque, può dirsi che il testo della clausola non è univoco, e non lo è per il modo in cui è stata redatta, non
già per la oggettiva difficoltà di senso.
8. - Il ricorso va pertanto accolto.
P.Q.M.
La Corte accoglie il ricorso. Cassa la decisione impugnata e rinvia alla Corte di Appello di Roma, in diversa
composizione, anche per le spese.

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