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Mala gestio propria dell’Assicuratore

Mala gestio propria dell’Assicuratore

SENTENZA

Cassazione civile sez. III - 20/10/2021, n. 29027

Intestazione

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SCODITTI Enrico - Presidente - Dott. FIECCONI Francesca - Consigliere - Dott. IANNELLO Emilio - Consigliere - Dott. GUIZZI Stefano Giaime - rel. Consigliere - Dott. GORGONI Marilena - Consigliere - ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 17001/2019 proposto da:

HDI ASSICURAZIONI SPA, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA COSTANTINO MORIN 45, presso lo studio dell'Avvocato MICHELE ARDITI DI CASTELVETERE, che la rappresenta e difende;

- ricorrente - contro

CATTOLICA ASSICURAZIONI SCARL, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA GIOVANNI NICOTERA 24, presso lo studio dell'Avvocato ALESSANDRO NOBILONI, che la rappresenta e difende unitamente all'Avvocato

Michele PAOLETTI;

- controricorrente - e contro

I.U.S., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DONATELLO 39, presso lo studio dell'Avvocato Francesco IACOVINO, che lo rappresenta e difende;

- controricorrente -

e contro

- intimati -

D.A., DA.AD.;

avverso la sentenza n. 1963/2019 della CORTE D'APPELLO di ROMA, depositata il 21/03/2019;.

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

28/04/2021 dal Consigliere Dott. STEFANO GIAIME GUIZZI.

FATTI DI CAUSA

  1. La società HDI Assicurazioni ricorre, sulla base di cinque motivi, per la cassazione della sentenza n. 1963/19, del 21 marzo 2019, della Corte di Appello di Roma, che - accogliendo il gravame esperito, in via di principalità, dalla società Cattolica Assicurazioni S.c.a.r.l. (d'ora in poi, "Cattolica"), nonché, in via incidentale, da I.U.S., avverso la sentenza n. 953/14, del 28 aprile 2014, del Tribunale di Latina, sezione distaccata di Terracina - ha posto a carico

dell'odierna ricorrente l'obbligo, già riconosciuto dal primo giudice nei confronti di Da.Ad. e A., in

qualità di soci dell'estinta società D. Yacht Service S.r.l., di corrispondere alla società Cattolica e allo I., rispettivamente, le somme di Euro 82.000,00 e di Euro 38.000,00.

  1. Riferisce, in punto di fatto, l'odierna ricorrente che lo I. ebbe ad adire il Tribunale latinese, convenendo in giudizio la società D. Yacht Service S.r.l. per chiederle il risarcimento del danno subito in conseguenza della distruzione, a causa di incendio, di un'imbarcazione da diporto di sua proprietà, custodita nel cantiere della società per l'esecuzione di opere di manutenzione e per il rimessaggio invernale.

Autorizzata la società convenuta a chiamare in causa HDI Assicurazioni (d'ora in poi, "HDI"), per essere dalla stessa manlevata dall'eventuale condanna risarcitoria (in forza di polizza assicurativa con essa contratta), nel giudizio interveniva pure la società Cattolica, la quale agiva in rivalsa, sul presupposto di aver già liquidato, in favore dell'attore, la somma di Euro

82.000,00.

Il primo giudice, riconosciuta la responsabilità della convenuta, la condannò al risarcimento del danno, con decisione gravata, mediante appello principale, da Cattolica, per chiedere l'estensione della condanna a carico di HDI (non avendo il Tribunale provveduto sulla domanda di manleva proposta dall'allora convenuta). Siffatta domanda veniva proposta, in appello, in via surrogatoria, ex art. 2900 c.c., stante l'inerzia della società convenuta, o meglio - per essa

ormai estinta, giacché cancellata dal registro delle imprese dei suoi già soci, ovvero i predetti Da.Ad. e A.. Appello incidentale di analogo tenore era esperito pure dallo I., lamentando anch'egli la mancata pronuncia sulla domanda di manleva. Per la reiezione di tali domande - in particolare, sul presupposto sia del loro difetto di validità (visto che Da.Ad. non avrebbe potuto essere citato personalmente in appello, essendo intervenuto il suo fallimento nelle more della instaurazione del giudizio di secondo grado), sia della tardività dei gravami esperiti da Cattolica e dallo I. - proponeva appello incidentale anche HDI.

Il giudice di seconde cure, tuttavia, mentre accoglieva i gravami di Cattolica e dello I., rigettava quello di HDI.

  1. Avverso la sentenza della Corte capitolina ha proposto ricorso per cassazione la società HDI, sulla base - come detto - di cinque motivi.

3.1. Il primo motivo denuncia - ai sensi dell'art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3) e 4) - violazione dell'art. 2945 c.c., dell'art. 102 c.p.c., del R.D. 16 marzo 1942, n. 267, art. 43, nonché dell'art.

291 c.p.c., oltre alla nullità della sentenza impugnata.

Si duole la ricorrente che la Corte territoriale abbia disatteso la sua denuncia di violazione del contraddittorio.

Invero, essendo stata la società D. Yacht, in origine convenuta in giudizio, cancellata dal registro delle imprese, ed essendo intervenuto il fallimento di uno dei già soci della stessa, vale a dire Da.Ad., l'appello di Cattolica e dello I., sebbene potesse indirizzarsi nei confronti degli ex soci, avrebbe dovuto essere proposto - quanto a quello dei due soci dichiarato fallito - nei confronti della curatela e non dello stesso personalmente, come invece avvenuto. La nullità conseguente a tale circostanza avrebbe imposto la rinnovazione della citazione in appello nei confronti della curatela, la mancanza della quale ha comportato, secondo l'odierna ricorrente, un difetto di integrazione del contraddittorio, considerato che i soci di una società estinta sono litisconsorti necessari.

Di qui, dunque, l'ipotizzata nullità della sentenza impugnata.

3.2. Il secondo motivo denuncia - ai sensi dell'art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3) - violazione degli artt. 324,325 e 326 c.p.c..

Reitera la ricorrente, in questa sede, la censura di tardività dei gravami di Cattolica e dello I., per essere stati entrambi proposti oltre il termine breve ex art. 325 c.p.c., decorrente, nella specie, dall'avvenuta notificazione della sentenza a fini esecutivi, notificazione avvenuta personalmente, nei riguardi di Da.Ad. ed A..

Difatti, in senso contrario all'eccepita tardività, non potrebbe addursi - secondo la ricorrente - la

circostanza che la notificazione utile a far decorrere il termine per impugnare sarebbe quella effettuata nei confronti del procuratore già costituito per la società D., giacché - in ragione dell'avvenuta estinzione della stessa - "giuste parti" del giudizio di appello (secondo quanto si assume essere stato chiarito da Cass. Sez. Un., sent. 4 luglio 2014, n. 15295) erano divenuti i suoi ex soci.

3.3. Il terzo motivo denuncia - ai sensi dell'art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3) - violazione degli artt.

31 e 42 del già citato R.D. n. 267 del 1942, nonché degli artt. 2900 e 2495 c.c..

Si censura la sentenza impugnata per aver disatteso l'eccezione, già sollevata dall'odierno ricorrente, secondo cui il dichiarato fallimento del debitore, nella specie Da.Ad., avrebbe determinato il venir meno dei presupposti della legittimazione del creditore - ovvero, di Cattolica all'esercizio dell'azione surrogatoria (e' citata Cass. Sez. 1, sent. 29 settembre 2005, n. 19045).

Errata, inoltre, sarebbe l'affermazione contenuta nella sentenza impugnata per superare tale rilievo, ovvero che l'inerzia anche del secondo dei due ex soci e debitore di Cattolica (vale a dire, D.A.), sarebbe valsa a legittimarne l'iniziativa assunta a norma dell'art. 2900 c.c., per chiedere che la condanna risarcitoria fosse comminata a carico pure dell'assicuratrice del danneggiante. Difatti, secondo la ricorrente, tale affermazione traviserebbe la portata dell'art.

2945 c.c., ipotizzando una sostanziale solidarietà passiva dei soci nelle obbligazioni ad essi facenti capo a seguito dell'estinzione della società, in contrasto con la norma "de qua", che invece la esclude, sancendo la regola secondo cui l'obbligo del socio sussiste nei limiti delle somme riscosse in base al bilancio finale di liquidazione e che variano in relazione alla titolarità delle quote.

3.4. Il quarto motivo denuncia - ai sensi dell'art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3) - violazione degli artt.

1201,1260 e 1965 c.c., oltre che degli artt. 81 e 345 c.p.c..

Rileva la ricorrente che dalla "quietanza di danno", relativa all'indennizzo rilasciato da Cattolica in favore dello I., emergerebbe l'inesistenza di qualsiasi diritto in capo a quest'ultimo, avendo il medesimo dichiarato di "cedere tutti i diritti derivanti e/o dipendenti dal sinistro in oggetto alla Società Cattolica di Assicurazione, anche a termini dell'art. 1201 c.c., nonché degli artt. 1260 c.c.".

Spogliatosi, così, lo I. di ogni diritto, egli non poteva richiedere alla danneggiante (e al suo assicuratore) la differenza tra l'indennizzo ricevuto e il valore dell'imbarcazione perduta. Il menzionato atto di quietanza avrebbe, infatti, valore di transazione, come confermato dal suo testo, nella parte in cui fa riferimento alla definizione della lite pendente "inter partes" e al regolamento delle spese di lite.

Si censura, dunque, la sentenza impugnata per avere sbrigativamente rigettato tale rilievo, essendosi ritenuto, ad un tempo, che si trattasse di eccezione tardiva (perché proposta per la prima volta con la comparsa conclusionale depositata innanzi al Tribunale) e non fondata. Esito, quest'ultimo, al quale la Corte territoriale è pervenuta riconoscendo a detta quietanza valore transattivo dei soli diritti all'indennizzo, e dunque ritenendo che essa concerna i soli rapporti tra assicurato ed assicuratore, e non i diritti risarcitori verso il responsabile del sinistro, per la riscossone dei quali, dunque, lo I. ha legittimamente agito in giudizio per la parte eccedente l'indennizzo, visto che la surrogazione dell'assicuratore che abbia pagato l'indennità è espressamente contenuta, dall'art. 1916 c.c., "fino alla concorrenza dell'ammontare di essa".

Tale duplice "ratio decidendi" sarebbe, tuttavia, errata, secondo la ricorrente, innanzitutto perché la contestazione da parte del convenuto - della titolarità del rapporto controverso costituisce non un'eccezione, ma una mera difesa (e' citata Cass. Sez. Un., sent. 16 febbraio

2016, n. 2951), come tale non soggetta a preclusioni temporali. Inoltre, perché la cessione del credito a Cattolica è avvenuta senza alcuna limitazione, tanto che nella stessa si fa riferimento all'art. 1260 c.c., e non all'art. 1916 c.c..

3.5. Il quinto motivo denuncia - ai sensi dell'art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3) - violazione degli artt.

1175,1375,1905,1917 e 2900 c.c., oltre che dell'art. 112 c.p.c..

La ricorrente censura la sentenza impugnata perché la Corte territoriale - nel decidere in merito alla sollevata eccezione secondo cui il contratto di assicurazione prevedeva un massimale di

Euro 69.721,50, sicché Cattolica avrebbe potuto agire in rivalsa entro e non oltre tale limite - ha

ritenuto di disattenderla, sul rilievo che HDI avesse ingiustificatamente rifiutato il pagamento a Cattolica, giacché avrebbe dovuto prendere atto dell'evidente errore in cui era incorso il primo giudice allorché aveva omesso di pronunciarsi sulla domanda di manleva proposta (allora) dal danneggiante/assicurato. La Corte territoriale, in altri termini, ha ravvisato la sussistenza di quell'ipotesi di ritardo dell'assicuratore nell'adempimento delle proprie obbligazioni "che fonda la mala gestio impropria, la quale abilita chi agisce contro l'assicuratore a pretendere l'indennizzo oltre il massimale contrattuale".

Senonché, deduce la ricorrente, tale affermazione risulterebbe errata.

Innanzitutto, perché, a voler parlare di "mala gestio", quella astrattamente ipotizzabile, nel caso che occupa, sarebbe una "mala gestio" propria e non impropria, quest'ultima essendo configurabile solo quando il danneggiato - ipotesi non ricorrente nella presente fattispecie - risulti munito di azione diretta verso l'assicuratore e subisca gli effetti di un comportamento ingiustificatamente dilatorio di quest'ultimo nel soddisfarne la pretesa. Per contro, la "mala gestio" c.d. propria, ovvero quella attinente al rapporto tra l'assicuratore e l'assicurato/danneggiante (tale essendo l'ipotesi che occupa, visto che Cattolica ha agito a norma dell'art. 2900 c.c., essendosi surrogata nella posizione della società danneggiante, o meglio degli ex soci della stessa, attesa la sopravvenuta estinzione della società), trova fondamento nella violazione dell'obbligo dell'assicuratore di comportarsi secondo buona fede nell'esecuzione del contratto, violazione configurabile - tra le altre ipotesi - quando sia ravvisabile un suo colpevole ritardo nella corresponsione dell'indennizzo, sempre cha ciò abbia recato un danno all'assicurato, e non al danneggiato.

Tuttavia, poiché il risarcimento del danno da "mala gestio" propria presuppone una specifica domanda in tal senso dell'assicurato/danneggiante, non essendo stata la stessa proposta né dalla società D. Yacht, né dai soci ad essa succeduti dopo la sua estinzione, e neppure - in via di surrogatoria, ex art. 2900 c.c. - da Cattolica o dallo I., la Corte capitolina, nel ritenere sussistente tale ipotesi, con l'effetto di consentire il superamento del massimale contrattuale, avrebbe deciso "extra petita", con violazione dell'art. 112 c.p.c..

In ogni caso, poiché gli effetti della "mala gestio" sottolinea nuovamente la ricorrente - variano a seconda che il massimale, a dispetto di essa, resti capiente, ovvero divenga incapiente al momento del pagamento dell'indennizzo, oppure fosse già tale all'epoca del sinistro (essendo proprio quest'ultima l'ipotesi sussistente nel caso che occupa, sempre secondo la ricorrente, atteso che il danno conseguente all'incendio dell'imbarcazione dello I. è stato stimato in Euro

120.000,00), la sola conseguenza destinata a scaturire dalla "mala gestio" sarebbe stata l'obbligo dell'assicuratore, ex art. 1224 c.c., di corrispondere all'assicurato/danneggiato gli interessi sul massimale, o eventualmente il "maggior danno", ma quest'ultimo solo se provato, e senza cumulo con gli interessi, trattandosi di debito di valuta.

Di conseguenza, errata sarebbe la decisione della Corte territoriale di condannare HDI al pagamento dell'intero valore dell'imbarcazione, degli interessi e della rivalutazione.

  1. Sia la società Cattolica che lo I., hanno resistito, con distinti controricorsi, all'avversaria impugnazione, chiedendone la declaratoria di inammissibilità ovvero, in subordine, di infondatezza, formulando, peraltro, richiesta di integrazione del contraddittorio nei confronti della curatela del fallimento di Da.Ad..
  1. Sono rimasti solo intimati Da.Ad. e A., che hanno ricevuto notifica del ricorso, il primo, presso la propria abitazione, il secondo, a mezzo PEC, presso i difensori che lo hanno assistito nel giudizio di appello. Notifica, quest'ultima, da ritenersi validamente compiuta, ancorché il destinatario, nella relata, venga indicato erroneamente come D.R. (e non A.), atteso che il suo prenome risulta correttamente indicato nel ricorso notificatogli, sicché il mero "lapsus calami" non può indurre dubbi sul reale destinatario della notificazione.

RAGIONI DELLA DECISIONE

  1. In via preliminare, va disattesa la richiesta dei due controricorrenti di disporre l'integrazione del contraddittorio nei confronti della curatela del fallimento di Da.Ad..

6.1. Invero, poiché la condanna al risarcimento del danno - comminata dal primo giudice in

favore dello I. e a carico della società D. Yacht (o meglio, per essa, essendone sopravvenuta l'estinzione nella pendenza del termine per la proposizione dell'appello, dei suoi già soci, vale a dire D.A. e Ad.) - risulta passata in giudicato, non essendo stata oggetto di gravame, l'integrazione del contraddittorio non risulta funzionale ad alcuno scopo di interesse della curatela. Tale interesse, difatti, dovrebbe essere, astrattamente, quello di consentirle di contraddire in merito ad un'iniziativa che mira ad escludere (o a ridimensionare, ciò che qui non interessa) la portata dell'obbligo di manleva in favore dei predetti D.A. e Ad., i quali potrebbero, pertanto, trovarsi - per effetto dell'accoglimento del ricorso proposto dall'assicuratrice

dell'estinta società di cui furono soci - a rispondere della pretesa creditoria azionata dallo I. e da

Cattolica.

Nondimeno, un simile effetto non potrebbe che interessare Da.Ad. personalmente (e non la curatela del suo fallimento), e sempre che costui tornasse eventualmente "in bonis", risultando, pertanto, sufficiente che il presente ricorso sia stato a lui notificato, senza che occorra, viceversa, provvedere a norma dell'art. 102 c.p.c., comma 2, quanto alla curatela del suo fallimento. Difatti, va qui rammentato, che "l'accertamento di un credito nei confronti del fallimento è devoluto alla competenza esclusiva del giudice delegato L. Fall., ex artt. 52 e 93, con la conseguenza che, ove la relativa azione sia proposta nel giudizio ordinario di cognizione, deve esserne dichiarata d'ufficio, in ogni stato e grado, anche nel giudizio di cassazione, l'inammissibilità o l'improcedibilità, a seconda che il fallimento sia stato dichiarato prima della proposizione della domanda o nel corso del giudizio, trattandosi di una questione "litis ingressus impedientes"" (Cass. Sez. 3, sent. 4 ottobre 2018, n. 24156, Rv. 651126- 01).

  1. Ciò premesso, il ricorso va accolto, nei limiti di seguito precisati, e segnatamente in relazione al suo quinto motivo.

7.1. Il primo motivo, infatti, è inammissibile.

7.1.1. La censura formulata - ovvero, che l'appello di Cattolica e dello I., sebbene potesse indirizzarsi nei confronti degli ex soci dell'estinta società, già convenuta in giudizio, avrebbe dovuto essere notificato, quanto ad Da.Ad., alla curatela fallimentare e non a lui personalmente

- prospetta un vizio di violazione del contraddittorio che poteva essere fatto valere solo dalla parte interessata.

Difatti, "la violazione delle norme sulla notificazione della citazione e l'inosservanza delle disposizioni sulla regolare costituzione del contraddittorio nei confronti di un convenuto costituiscono eccezioni "de iure tertii", che non possono essere sollevate da altro convenuto, potendo essere fatte valere soltanto dalla parte direttamente interessata" (così, in motivazione, Cass. Sez. 3, sent. 29 ottobre 2019, n. 27607, Rv. 655495-01, nello stesso senso, tra le molte, Cass. Sez. 3, ord. 23 marzo 2018, n. 7262, non massimata; Cass. Sez. 3, sent. 19 dicembre

2013, n. 28464, Rv. 629133-01; Cass. Sez. 3, sent. 22 novembre 2006, n. 20637, Rv. 593370-

01).

7.2. Il secondo motivo di ricorso non è fondato.

7.2.1. Esso prospetta, come detto, la tardività dei gravami di Cattolica e dello I., per essere stati entrambi proposti oltre il termine breve ex art. 325 c.p.c., decorrente, nella specie, dall'avvenuta notificazione della sentenza a fini esecutivi, notificazione avvenuta personalmente, nei riguardi di Da.Ad. ed A..

Sul punto, tuttavia, va data continuità al principio secondo cui "la notificazione della sentenza in forma esecutiva (nella specie, unitamente all'atto di precetto) eseguita alla controparte personalmente anziché al procuratore costituito a norma dell'art. 170 c.p.c., comma 1 e art.

285, c.p.c., è inidonea a far decorrere il termine breve d'impugnazione sia nei confronti del notificante che del destinatario" (così Cass. Sez. 3, ord. 13 agosto 2015, n. 16804, Rv. 636386-

01; nello stesso senso Cass. Sez. 3, sent. 1 giugno 2010, n. 13428, Rv. 613322-01; Cass. Sez.

1, sent. 10 luglio 2007, n. 15389, Rv. 598067-01 ed altre ancora).

Ne' in senso contrario vale invocare la circostanza dell'avvenuta estinzione della società, originaria convenuta in giudizio, e dunque la necessità di individuare - richiamandosi a Cass. Sez. Un., sent. 4 luglio 2014, n. 15295 - negli ex soci personalmente la "giusta parte" del giudizio di appello.

Tale pronuncia, all'opposto, rappresenta una conferma, e non una smentita, della necessità di

notificare la sentenza - ai fini del decorso del termine per impugnare ex art. 325 c.p.c. - al difensore della società, e ciò in ragione del principio della cd. "ultrattività del mandato". Invero, il citato arresto delle Sezioni Unite, nel vagliare la tesi secondo cui verificatasi la morte (o la perdita della capacità) di una parte tra un grado e l'altro del processo - sarebbe necessario affermare, sempre e comunque, "l'imprescindibilità della nuova realtà soggettiva venutasi a determinare, con la conseguenza che il nuovo grado di giudizio andrebbe instaurato da e contro i soggetti reali", ovvero le "parti sostanziali interessate attualmente dalla controversia ed al processo", ha espresso "un forte ripensamento circa il fatto che quell'idea dottrinaria del processo", che distingue tra parte e "giusta parte", possa "essere trasferita nella materia in questione", e ciò sul rilievo che la nozione di "giusta parte" dovrebbe essere intesa pur sempre in senso processuale (e non sostanziale), identificandosi con "quella che ha instaurato", ovvero, con "quella contro cui è stato instaurato il giudizio". Ne è derivata, dunque, l'enunciazione del principio secondo cui la "incidenza sul processo degli eventi previsti dall'art. 299 c.p.c. (morte o perdita di capacità della parte) è disciplinata, in ipotesi di costituzione in giudizio a mezzo di difensore, dalla regola dell'ultrattività del mandato alla lite, in ragione della quale, nel caso in cui l'evento non sia dichiarato o notificato nei modi e nei tempi di cui all'art. 300 c.p.c., il difensore continua a rappresentare la parte come se l'evento non si sia verificato, risultando così stabilizzata la posizione giuridica della parte rappresentata (rispetto alle altre parti ed al giudice) nella fase attiva del rapporto processuale e nelle successive fasi di quiescenza e riattivazione del rapporto a seguito della proposizione dell'impugnazione" (così, in motivazione, Cass. Sez. Un., sent. n. 15295 del 2014, cit.).

7.3. Anche il terzo motivo di ricorso non è fondato.

7.3.1. E' vero, infatti, che la dichiarazione di fallimento di Da.Ad. - come sostenuto dalla ricorrente - ha determinato il venir meno dei presupposti per la legittimazione del suo creditore, ovvero la società Cattolica, all'esercizio dell'azione surrogatoria (e' citata, in termini, Cass. Sez.

1, sent. 29 settembre 2005, n. 19045, Rv. 583696 - 01).

Nondimeno, corretta è l'affermazione della Corte territoriale secondo cui era sufficiente l'inerzia dell'altro ex socio, ovvero D.A., nel non reiterare in appello la domanda di manleva contro HDI, a consentire alla società Cattolica e allo I. di surrogarsi al proprio debitore ed assumere siffatta iniziativa processuale.

Quanto affermato in sentenza, infatti, lungi dal violare l'art. 2945 c.c. - come denunciato con il presente motivo di ricorso - fa applicazione della regola generale secondo cui ciascun soggetto partecipante ad una comunione (tale dovendosi ritenere la condizione dei già soci della società convenuta, visto che all'estinzione della società, di persone o di capitali, conseguente alla cancellazione dal registro delle imprese, non corrisponde il venir meno di ogni rapporto giuridico facente capo alla società estinta, determinandosi, invece, un fenomeno di tipo successorio di tutti i soci nelle posizioni già facenti capo alla società; cfr. Cass. Sez. Un., sent. 12 marzo 2013, n. 6070, Rv. 625323-01) può esercitare singolarmente le azioni a vantaggio della cosa comune, senza che risulti necessario integrare il contraddittorio nei confronti di tutti gli altri partecipanti, perché il diritto di ciascuno di essi investe la cosa comune nella sua interezza (cfr. "ex multis", Cass. Sez. 2, sent. 6 ottobre 2005, n. 19460, Rv. 584386-01).

In base a tale principio, dunque, poiché il solo D.A. avrebbe potuto proporre la domanda di manleva nell'interesse anche dell'altro socio (dichiarato fallito), il creditore di entrambi si è potuto surrogare, a norma dell'art. 2900 c.c., nella posizione di chi dei due non era stato dichiarato fallito.

7.4. Neppure il quarto motivo di ricorso risulta fondato.

7.4.1. Si è detto come esso contesti la duplice "ratio decidendi" con cui la Corte territoriale - ora affermando trattarsi di eccezione tardiva, ora, invece, di eccezione non fondata - ha ritenuto di disattendere il rilievo svolto dall'allora appellata, secondo cui la quietanza di pagamento, rilasciata dallo I. a Cattolica, avrebbe valore di transazione, sicché il primo non poteva richiedere alla danneggiante (e al suo assicuratore) la differenza tra l'indennizzo ricevuto e il valore dell'imbarcazione perduta.

Se è vero, infatti, che - come assume, correttamente, la ricorrente - la contestazione, da parte

del convenuto, della titolarità del diritto controverso costituisce non un'eccezione, ma una mera difesa, non poteva allora ritenersi tardiva la difesa con cui essa HDI aveva dedotto che lo I. - avendo ceduto a Cattolica ogni diritto in relazione al sinistro subito non potesse più pretendere nulla a titolo risarcitorio nei confronti del danneggiante o del suo assicuratore.

Nondimeno, tale constatazione - che investe solo la prima delle due "rationes" posta dalla Corte territoriale a fondamento della propria decisione sul punto - non giova all'odierna ricorrente, essendo corretto quanto affermato dalla sentenza impugnata nell'esaminare (e poi respingere) siffatta difesa.

Difatti, la Corte capitolina ha osservato che l'atto di quietanza proveniente dallo I. aveva valore solo nel rapporto interno tra il medesimo e Cattolica, ai fini della surrogazione della seconda al primo ex art. 1916 c.c. e ciò in quanto HDI avrebbe dovuto allegare, per attribuire a tale atto il valore di cessione del credito risarcitorio (e, quindi, efficacia anche "esterna"), l'avvenuta notificazione dell'atto al debitore ceduto. Difatti, ai sensi dell'art. 1264 c.c., tale adempimento, se non rileva ai fini del perfezionamento della cessione, condiziona l'efficacia della stessa riguardo al debitore ceduto, nel senso che, in mancanza della notificazione dell'avvenuta cessione, il cedente può pretendere da costui il pagamento del credito, pur oggetto di cessione (cfr., da ultimo, Cass. Sez. 3, ord. 19 febbraio 2019, n. 4713, Rv. 652988-01).

7.5. Il quinto motivo e', invece, parzialmente fondato.

7.5.1. Attraverso la sua proposizione, la ricorrente censura la decisione della Corte territoriale di disattendere il massimale di polizza, avendo ravvisato nel contegno di essa HDI gli estremi

della cd. "mala gestio".

La doglianza è prospettata - come sopra illustrato - sotto un duplice (alternativo) profilo.

Per un verso, si lamenta che il ristoro del danno da "mala gestio" cd. "propria" - tale essendo la fattispecie che attiene al rapporto tra assicuratore e "assicurato/danneggiato" (posizione, quest'ultima, nella quale Cattolica si è surrogata, ex art. 2900 c.c., alla società D. Yacht, o meglio, dopo la sua estinzione, ai suoi già soci) - richiede una specifica domanda, che nel caso in esame si assume mancante, giacché non proposta da nessuna delle parti del giudizio.

Per altro verso, si evidenzia che nell'ipotesi in cui il massimale risulti incapiente all'epoca del sinistro (come avvenuto nel caso che occupa, visto che il danno conseguente all'incendio dell'imbarcazione dello I. è stato stimato in Euro 120.000,00, a fronte di un massimale di Euro

69.721,50), la sola conseguenza della "mala gestio" consiste nell'obbligo dell'assicuratore, ex art. 1224 c.c., di corrispondere all'assicurato/danneggiato gli interessi - o eventualmente il "maggior danno", ma quest'ultimo solo se provato, e senza cumulo con gli interessi, trattandosi di debito di valuta - sul massimale.

7.5.2. Orbene, solo la seconda di tali censure va accolta, la prima risultando, invece, inammissibile.

7.5.2.1. Difatti, è corretta la premessa da cui muove la ricorrente nello svolgere la prima di tali censure, ovvero che il proprio contegno - consistito nel rifiutare il pagamento allo I. (e a Cattolica, per la parte in cui essa agiva a norma dell'art. 1916 c.c.) - sarebbe stato, astrattamente, idoneo a giustificare il superamento del massimale contrattuale rilevando come "male gestio" propria, cioè come inadempimento dell'obbligo di agire secondo buona fede nell'esecuzione del contratto di assicurazione.

Del pari, è corretta anche l'ulteriore affermazione della ricorrente, secondo cui, per farsi valere tale inadempimento, occorreva una specifica domanda (cfr., da ultimo, Cass. Sez. 3, sent. 17 febbraio 2016, n. 3014, Rv. 639076-01).

Nondimeno, ciò non basta per ravvisare la denunciata violazione dell'art. 112 c.p.c., risultando tale censura inammissibile, in quanto formulata in modo non conforme alla previsione di cui all'art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6 (norma applicabile anche rispetto ai motivi di ricorso che deducano "errores in procedendo"; cfr. Cass. Sez. Un., sent. 22 maggio 2012, n. 8077, Rv.

622361-01).

Difatti, HDI avrebbe dovuto riprodurre il contenuto degli atti di appello, esperiti da Cattolica e

dallo I., nella misura necessaria ad evidenziare come costoro non avessero proposto - in via surrogatoria, ex art. 2900 c.c., rispetto all'assicurata/danneggiante società D. Yacht (o meglio, ai già soci della stessa, essendosi tale società estinta nelle more dell'instaurazione del giudizio di appello) - alcuna specifica domanda di risarcimento del danno da "male gestio" propria.

Non essendo ciò avvenuto, la censura si presenta, pertanto, inammissibile.

7.5.2.2. Per contro, fondata è l'altra censura, formulata sul presupposto che, eccedendo, già al momento del sinistro, il credito del danneggiato il massimale. contrattuale (essendo pari, l'uno, a Euro 120.000,00 e, l'altro, invece, a Euro 69.721,50), il danno da "male gestio" - secondo le

indicazioni ricavabili dalla giurisprudenza di questa Corte - avrebbe dovuto essere liquidato solo attraverso la corresponsione di una somma pari agli interessi legali sul massimale stesso, salva la prova di un pregiudizio maggiore ai sensi dell'art. 1224 c.c., comma 2 (cfr., da ultimo, Cass. Sez. 3, sent. 8 novembre 2019, n. 28811, Rv. 655963-06).

La censura, dunque, va accolta, rinviando al giudice di merito per la decisione, occorrendo accertamenti di fatto preclusi in tale sede, che impediscono a questa Corte di pronunciarsi nel merito.

  1. In conclusione, in accoglimento del quinto motivo di ricorso, per quanto di ragione, la sentenza impugnata va cassata in relazione, con rinvio alla Corte di Appello di Roma, in diversa composizione, per la decisione sul merito della controversia, in base al seguente principio di diritto:

"in materia di assicurazione per la responsabilità civile, allorché il credito del danneggiato già al momento del sinistro risultava eccedere il massimale, il danno da "mela gestio" c.d. propria deve essere liquidato, attraverso la corresponsione di una somma pari agli interessi legali sul massimale, salva la prova di un pregiudizio maggiore ai sensi dell'art. 1224 c.c., comma 2".

  1. Le spese del presente giudizio saranno liquidate all'esito del giudizio di rinvio, nell'ambito della loro, complessiva, rinnovata regolamentazione.

P.Q.M.

La Corte accoglie il quinto motivo di ricorso, per quanto di ragione, rigettando i restanti, e cassa in relazione la sentenza impugnata, rinviando alla Corte di Appello di Roma, in diversa composizione, per la decisione nel merito e sulle spese anche del presente giudizio.

Così deciso in Roma, all'esito di pubblica udienza della Sezione Terza Civile della Corte di Cassazione, svoltasi - in forma camerale, ai sensi del D.L. 28 ottobre 2020, n. 137, art. 23, comma 8-bis, convertito in L. 18 dicembre 2020, n. 176, il 28 aprile 2021.

Depositato in Cancelleria il 20 ottobre 2021

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