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Culpa in vigilando: se il minore cade in piscina, è responsabile anche il genitore

Culpa in vigilando: se il minore cade in piscina, è responsabile anche il genitore

Corte di Cassazione, sez. VI Civile – 3, ordinanza 2 marzo – 18 maggio 2021, n. 13503
Presidente Amendola – Relatore Cirillo
Fatti di causa
1. F.A. , in qualità di esercente la potestà sulla figlia minore F.E. , convenne in giudizio P.L. , davanti al Tribunale di Asti, chiedendo che fosse
condannato al risarcimento dei danni patiti dalla figlia minore a seguito di una caduta avvenuta in uno scivolo d’acqua all’interno del
complesso sportivo gestito dal convenuto, cui aveva fatto seguito la rottura degli incisivi superiori.
A sostegno della domanda espose, tra l’altro, che il convenuto era stato condannato per il delitto di cui all’art. 590 c.p., in relazione
all’episodio per cui è causa, con sentenza definitiva cui si era accompagnata la condanna al pagamento di una provvisionale di Euro 8.000.
Si costituì in giudizio il convenuto, chiedendo il rigetto della domanda; a suo dire, infatti, il sinistro era da ricondurre alla condotta impropria
della bambina, la quale era caduta mentre stava risalendo in senso contrario lo scivolo sito nella piscina, ed alla disattenzione del padre.
Il Tribunale accolse in parte la domanda e, riconosciuta la responsabilità del convenuto e del padre della bambina in pari misura, condannò il
convenuto al pagamento della somma di Euro 8.000, peraltro già riconosciuta in sede di giudizio penale a titolo di provvisionale, con
compensazione delle spese di lite.
2. La pronuncia è stata appellata in via principale da F.E. , nel frattempo divenuta maggiorenne, e in via incidentale da P.L. e la Corte
d’appello di Torino, con sentenza del 7 novembre 2018, in parziale accoglimento di entrambi gli appelli, ha accertato che il danno patito dalla
F. era da liquidare nella misura di Euro 4.269,30, somma superata da quella già corrisposta dal P. a titolo di provvisionale, ha rigettato ogni
ulteriore domanda risarcitoria ed ha compensato integralmente tra le parti le spese del giudizio di appello.
Ribadita la pari responsabilità delle parti nell’incidente in questione, la Corte territoriale ha rilevato che la F. non aveva fornito alcuna prova
dell’effettiva esistenza di un danno patrimoniale, posto che le spese indicate dalla c.t. di parte non erano supportate da alcuna
documentazione, per cui quel danno non doveva essere risarcito. Era invece da accogliere la domanda di risarcimento del danno non
patrimoniale, posto che la vittima aveva dimostrato che in conseguenza del sinistro aveva patito l’avulsione di uno degli incisivi superiori e la
parziale frattura coronale dell’altro incisivo; danno questo, tale da comportare un’invalidità permanente nella misura del 3 per cento.
3. Contro la sentenza della Corte d’appello di Torino ricorre F.E. con atto affidato a due motivi.
P.L. non ha svolto attività difensiva in questa sede.
Il ricorso è stato avviato alla trattazione in camera di Consiglio, sussistendo le condizioni di cui agli artt. 375, 376 e 380-bis c.p.c., e non
sono state depositate memorie.
Ragioni della decisione
1. Con il primo motivo di ricorso si lamenta violazione e falsa applicazione di norme di diritto, in riferimento agli artt. 115 e 132 c.p.c. ed
all’art. 118 disp. att. c.p.c..
Sostiene la ricorrente che la sentenza sarebbe errata sia nella parte in cui ha ridotto la percentuale di invalidità permanente dal 4 per cento
riconosciuta dal c.t. di parte al 3 per cento, sia in quella in cui ha del tutto rigettato la domanda di risarcimento del danno patrimoniale. A tal
proposito, la censura rileva che il danno ai denti richiederà la sostituzione periodica delle protesi, le cui ricevute non potevano essere
prodotte in anticipo, e che i documenti contabili attestanti le spese erano nella disponibilità della madre della ricorrente, deceduta, per cui la
parte era stata nell’impossibilità di produrli.
1.1. Il motivo, quando non inammissibile, non è comunque fondato. Osserva il Collegio che la censura relativa alla riduzione della
percentuale di invalidità permanente ai fini del danno non patrimoniale si risolve in una sollecitazione indebita al riesame del merito. Il ricorso
sostiene, infatti, che la Corte d’appello avrebbe dovuto seguire le indicazioni del c.t. di parte, senza considerare che la sentenza impugnata
ha affrontato la questione e, dopo aver evidenziato la lacunosità della documentazione prodotta, ha ritenuto superflua la richiesta di una
c.t.u. ed ha ridotto la percentuale di invalidità dal 4 al 3 per cento in considerazione del fatto che tale invalidità tende, col trascorrere del
tempo, ad assestarsi in riduzione. Ragionamento che è convincente tanto più in quanto si fa riferimento ad un danno limitato a due denti, dei
quali uno danneggiato in parte.
Quanto, poi, al rigetto della domanda volta al risarcimento del danno patrimoniale, nessuna violazione delle norme invocate è ravvisabile
nella sentenza, la quale si è limitata a constatare, con un accertamento di merito non sindacabile in questa sede, che la F. aveva prodotto
una documentazione frammentaria, lacunosa e tale da non fornire alcun riscontro degli esborsi sopportati; particolare che, sia pure
indirettamente, lo stesso ricorso conferma là dove osserva che i documenti contabili relativi ai trattamenti odontoiatrici subiti erano in
possesso della madre della ricorrente, separata dal marito e poi deceduta.
2. Con il secondo motivo di ricorso si lamenta violazione e falsa applicazione di norme di diritto, in riferimento all’art. 1341 c.c. ed all’art. 115
c.p.c..
Sostiene la ricorrente che suo padre era entrato nel centro sportivo accompagnando contemporaneamente tre figli, per cui era
nell’impossibilità di seguire i movimenti di tutti. Sarebbe errata, perciò, la decisione anche nella parte in cui ha riconosciuto a suo carico
l’esistenza di una concorrente responsabilità; ogni eventuale clausola limitativa di tale responsabilità, ove anche prevista, avrebbe dovuto
essere approvata per iscritto ai sensi dell’art. 1341 c.c. citato.
2.1. Il motivo non è fondato.
Osserva la Corte che la sentenza impugnata ha accertato che il padre della F. non era presente al momento del fatto, che la piscina dov’è
avvenuta la caduta non era del tutto priva di custodia ed ha osservato che, ove tale custodia fosse mancata del tutto, la responsabilità del
genitore avrebbe dovuto essere valutata con maggior rigore. Tali argomenti sono condivisibili, perché il fatto di accompagnare
contemporaneamente tre figli minori, tutti bisognosi di controllo, in una struttura solo parzialmente custodita e potenzialmente fonte di
pericolo non può essere un elemento che sgrava il genitore di ogni responsabilità; anzi, al contrario, conferma la sussistenza di una sua
colpevolezza.
Evidentemente infondata, se non addirittura inammissibile per probabile novità, è la censura avente ad oggetto l’art. 1341 c.c.; nel caso di
specie, infatti, non si tratta di una clausola di esonero della responsabilità che il gestore della struttura acquatica avrebbe predisposto a suo
favore, ma, al contrario, di un accertamento ben motivato in ordine alla sussistenza di un concorso di colpa, in pari misura, del gestore e del
padre dell’odierna ricorrente.
3. Il ricorso, pertanto, è rigettato.
20/5/2021 (Corte di Cassazione, sez. VI Civile – 3, ordinanza n. 13503/21; depositata il 18 maggio) - RESPONSABILITÀ CIVILE e ASSICURA…
www.dirittoegiustizia.it/allegati/14/0000091029/Corte_di_Cassazione_sez_VI_Civile_–_3_ordinanza_n_13503_21_depositata_il_18_maggio.html 2/2
Non occorre provvedere sulle spese, atteso il mancato svolgimento di attività difensiva da parte dell’intimato.
Sussistono, tuttavia, le condizioni di cui al D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, per il versamento, da parte della
ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, se dovuto.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso. Nulla per le spese.
Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, dà atto della sussistenza delle condizioni per il versamento, da parte
della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, se dovuto.

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