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ANCORA UNA PRONUNCIA DELLA S.C. SUL DIVIETO DI FRAZIONAMENTO DEL CREDITO

ANCORA UNA PRONUNCIA DELLA S.C. SUL DIVIETO DI FRAZIONAMENTO DEL CREDITO

Se la vicenda sostanziale ed esistenziale è unica, unico deve essere il processo

Con la sentenza n. 28847 del 19 ottobre 2021 la Suprema Corte si è pronunciata, ancora una volta, sul delicato problema del c.d. divieto di frazionamento della domanda e, soprattutto, sugli aspetti processuali connessi con l’applicazione di quel divieto.

di Fabio Valerini - Avvocato cassazionista, Dottore di ricerca nell'Università di Roma Tor Vergata

CASS. CIV., SEZ. II, ORD., 19 OTTOBRE 2021, N. 28847

Ma soprattutto ha chiarito e consolidato l'orientamento in base al quale il divieto di frazionamento deve trovare applicazione – per poter funzionare anche come argine alla proliferazione di processi – quando i più processi abbiamo ad oggetto diritti di credito derivanti da un'unica vicenda esistenziale e sostanziale.

E per realizzare l'obiettivo la Suprema Corte – come vedremo – ha ampliato i signi cati delle nozioni di "medesimo rapporto di durata" e di "medesimo fatto costitutivo”.

Parcella dell'avvocato – Tutto prende le mosse da un ricorso per ingiunzione proposto da un avvocato nei confronti di una cooperativa sua assistita in relazione ad un procedimento di sfratto.

La peculiarità del caso è che questo appartiene ad una serie di ricorsi proposti dall'avvocato davanti al Giudice di Pace (che dovrebbero essere stati 38 stando alla motivazione della sentenza).

Mentre in primo grado il giudice di pace aveva rigettato la domanda dell'avvocato, il giudice di appello l'aveva invece accolta.

Uno degli argomenti che qu rileva invocato dalla società cooperativa cliente dell'avvocato per opporsi al decreto ingiuntivo è stato l'improcedibilità del ricorso siccome posto in violazione del c.d. divieto di frazionamento della domanda.

Limiti del divieto di frazionamento – Inevitabile, quindi, per la Suprema Corte precisare i fondamenti, i con ni e il trattamento processuale del divieto di frazionamento.

Quanto ai fondamenti il divieto di frazionamento trova la propria prima giusti cazione nell'esigenza di contenere l'attività giurisdizionale non disperdendo le risorse della giurisdizione.

Secondo le Sezioni Unite «il principio della proponibilità in separati processi di domande aventi ad oggetto diversi e distinti diritti di credito soffre … di due possibili eccezioni, tra loro alternative, che operano nel caso in cui i suddetti diritti di credito, oltre a far capo ad un medesimo rapporto tra le stesse parti, siano anche riconducibili al “medesimo ambito oggettivo di un possibile giudicato” ovvero “siano fondati sul medesimo fatto costitutivo”».

Ma se l'ampiezza del giudicato può giusti care l'applicazione del divieto di frazionamento laddove ci sia unità di fatto costitutivo, quale è il fondamento che legittima l'estensione del divieto di frazionamento ai diritti di credito che, se anche distinti (per i differenti fatti storici da cui hanno avuto origine) sono tuttavia riconducibili al medesimo rapporto e fondati su fatti costitutivi (che, pur se storicamente distinti sono) tra loro simili o analoghi?

Buona fede e correttezza – Ebbene, per la Suprema Corte quella (seconda) giusti cazione al divieto di frazionamento risiede nei doveri di buona fede e correttezza che vincolano le parti anche nel momento della tutela giudiziale.

Ecco allora che poiché le distinte pretese creditorie non possono essere accertate in altrettanti distinti giudizi se non a costo di una duplicazione dell'attività istruttoria e di una conseguente dispersione di conoscenza dell'identica “vicenda esistenziale sostanziale” che (“sia pure connotata da aspetti in parte dissimili”) è stata dedotta, in ragione dei differenti diritti di crediti azionati, nell'uno e nell'altro giudizio, le domande giudiziali ad esse relative non possono essere proposte separatamente.

Ne deriva che «l'espressione "medesimo rapporto di durata" deve essere letta in senso storico/fenomenologico: alla parola "rapporto" va, cioè, assegnato non il signi cato tecnico-giuridico di coppia diritto/obbligazione derivante da una della cause elencate nell'articolo 1173 c.c., bensì il signi cato di relazione di fatto realizzatasi tra le parti nella concreta vicenda da cui deriva la controversia; b) nell'espressione "medesimo fatto costitutivo", l'aggettivo "medesimo" va letto con riferimento non all'identità ma alla qualità, e quindi non come sinonimo di "identico" ma come sinonimo di "analogo"».

Interesse al frazionamento – Tuttavia, potrebbe accadere che vi sia, in concreto, un interesse al frazionamento e, cioè, che risulti dagli atti che il creditore abbia un interesse oggettivamente valutabile alla tutela processuale separata

Ciò determina alcune conseguenze processuali: la prima è che il giudice deve sempre valutare l'esistenza, o no, di quell'interesse.

La seconda è che quando la carenza di quell'interesse non sia stata dedotta dal convenuto, «può essere rilevata d'uf cio dal giudice, il quale, però, è tenuto ad indicare alle parti la relativa questione ai sensi dell'art.

183 c.p.c. e, se del caso, assegnare alle stesse il termine previsto dall'art. 101, comma 2, c.p.c.».

Peraltro, l'eventuale accertamento dell'inesistenza di un interesse al frazionamento che dovesse essere stata accertata e dichiarata in un processo, dando luogo ad un giudicato meramente formale, non avrà nessuna ef cacia preclusiva sull'accertamento di quell'interesse in un diverso processo.

Sulla base di queste premesse quindi la Cassazione ha riformato la sentenza di appello perché non aveva svolto l'accertamento dell'esistenza dell'interesse al frazionamento enunciando il seguente principio di diritto: «le domande relative a diritti di credito analoghi per oggetto e per titolo, in quanto fondati su analoghi, seppur diversi, fatti costitutivi, non possono essere proposte in giudizi diversi quando i relativi fatti costitutivi si inscrivano nell'ambito di una relazione unitaria tra le parti, anche di mero fatto, caratterizzante la concreta vicenda da cui deriva la controversia. Tale divieto processuale non opera quando l'attore abbia un interesse oggettivo, il cui accertamento compete al giudice di merito, ad azionare in giudizio solo uno, o solo alcuni, dei crediti sorti nell'ambito della suddetta relazione unitaria le parti. La violazione dell'enunciato divieto processuale è sanzionata con l'improponibilità della domanda, ferma restando la possibilità di riproporre in giudizio la domanda medesima, in cumulo oggettivo, ai sensi dell'art. 104 c.p.c., con tutte le altre domande relative agli analoghi crediti sorti nell'ambito della menzionata relazione unitaria tra le parti».

Cass. civ., sez. II, ord., 19 ottobre 2021, n. 28847

Presidente D'Ascola – Relatore Dongiacomo

Fatti di causa

1. L'avv. V.V. ha proposto appello nei confronti della sentenza con la quale il giudice di pace ha accolto l'opposizione della Società Cooperativa per Case Economiche in Santa Croce a r.l. avverso il decreto che, nel 2010, le aveva ingiunto il pagamento del compenso maturato per le prestazioni professionali eseguite nel suo interesse in un procedimento di sfratto per morosità. La società ha resistito al gravame, chiedendone il rigetto. 2.1. Il tribunale, con la sentenza in epigrafe, ha accolto l'appello ed, in riforma della sentenza impugnata, ha rigettato l'opposizione che la Società Cooperativa per Case Economiche in Santa Croce a r.l. aveva proposto all'indicato decreto ingiuntivo. 2.2. Il tribunale, innanzitutto, ha rigettato l'eccezione sollevata dalla cooperativa d'inammissibilità dell'appello proposto dall'avv. V. ai sensi dell'art. 342 c.p.c., sul rilievo che la lamentata non compiuta indicazione dei parametri di cui alla richiamata disposizione deriva dalla motivazione apparente adottata dal giudice di primo grado "chiaro essendo che, risolvendosi la motivazione nella indicazione apodittica che il professionista non ha fornito la prova dell'attività professionale svolta, altro non avrebbe potuto essere invocato se non l'integrale riesame della controversia". 2.3. Il tribunale, poi, ha rigettato l'eccezione sollevata dalla cooperativa d'inammissibilità/improcedibilità dell'appello proposto dall'avv. V. ai sensi dell'art. 345 c.p.c., sul rilievo che l'appellante non avesse formulato una domanda nuova avendo, piuttosto, richiesto l'accoglimento della domanda monitoria gravata di opposizione costituendo l'invocato accertamento l'antecedente logico per ottenere la conferma del decreto monitorio. 2.4. Il tribunale, quindi, ha esaminato l'eccezione di indebito frazionamento del credito e l'ha ritenuta infondata: intanto, l'esistenza di un rapporto pluriennale di natura professionale di per sé sola non consente il giudizio di unitarietà di tutta l'attività professionale tanto da ritenere indebita l'iniziativa processuale del creditore che attivi distinte procedure per ottenere il soddisfacimento di singoli crediti; d'altra parte, ha aggiunto il tribunale, "in difetto di riscontri scritti, non si può ipotizzare che sia stato conferito un unico mandato di natura professionale destinato a regolare in forma normativa tutti i conseguenti segmenti di attività professionale". Nel caso in esame, risulta conferita una procura speciale ad litem per lo svolgimento di una singola attività professionale e depositato agli atti del giudizio il relativo riconoscimento di debito, per cui, ha concluso il tribunale, non si comprende il contenuto della tesi dell'unitarietà dei rapporti di natura professionale, dispiegatisi in un arco di tempo pluriennale. 2.5. Quanto ai residui pro li, il tribunale ha, tra l'altro, ritenuto che: - non era stata fornita la prova che l'ingente somma versata al professionista nel corso degli anni fosse causalmente imputabile al credito oggetto di controversia; - l'avv. V., a sostegno della sua pretesa creditoria, aveva prodotto in giudizio una scrittura recante il riconoscimento di debito per l'importo ingiunto a titolo di sorte capitale; - la dicitura "per presa visione ed accettazione", ivi contenuta, rappresenta chiaramente la volontà di riconoscimento del debito posto che, secondo la comune logica, non si accetta la consegna della scrittura privata senza accettarne previamente il contenuto che, peraltro, "assai sintomaticamente", non è stato oggetto di rilievi; - l'eventuale difetto di sintonia della volontà dell'organo amministrativo con quella della persona giuridica non è opponibile al terzo di buona fede. 3. La Società Cooperativa per Case Economiche in Santa Croce, con ricorso noti cato il 12/9/2019, ha chiesto, per sette motivi, la cassazione della sentenza del tribunale, dichiaratamente non noti cata. 4. V.V. ha resistito con controricorso. 5. Le parti hanno depositato memorie.

Ragioni della decisione

6.1. Con il primo motivo, la società ricorrente, lamentando la violazione e la falsa applicazione dell'art. 342 c.p.c. e dell'art. 118 disp. att. c.p.c., in relazione all'art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5, ha censurato la sentenza impugnata nella parte in cui il tribunale ha affermato, senza alcuna motivazione, che la motivazione contenuta nella sentenza di primo grado fosse solo apparente, ed ha quindi ritenuto che l'appello proposto dall'avv. V. fosse ammissibile ai sensi dell'art. 342 c.p.c., senza, però, considerare: a) innanzitutto, che il giudice di pace, dopo aver rilevato che la sottoscrizione sull'azionato avviso di parcella era stata disconosciuta senza che fosse formulata l'istanza di veri cazione, aveva tratto il suo convincimento dal mancato assolvimento da parte dell'opposto, quale attore in senso sostanziale, dell'onere della prova ai sensi dell'art. 2697 c.c., non avendo lo stesso dimostrato il fondamento della sua pretesa creditoria, ed ha, quindi, sia pur in modo conciso, indicato le ragioni del suo convincimento, rigettando implicitamente tutte le argomentazioni incompatibili con esso; b) in secondo luogo, che l'atto di gravame, a fronte della motivazione del giudice di pace, non speci ca le violazioni normative che avrebbero potuto in ciare la legittimità della decisione appellata. 6.2. Il motivo è inammissibile. L'esercizio del potere di diretto esame degli atti del giudizio di merito, riconosciuto al giudice di legittimità ove sia denunciato un error in procedendo, presuppone comunque l'ammissibilità del motivo di censura, onde il ricorrente non è dispensato dall'onere di speci care (a pena, appunto, d'inammissibilità) il contenuto della critica mossa alla sentenza impugnata, indicando anche speci camente i fatti processuali alla base dell'errore denunciato, e tale speci cazione deve essere contenuta nello stesso ricorso per cassazione, per il principio di autosuf cienza di esso, con la conseguenza che, ove il ricorrente censuri, come nel caso in esame, la statuizione d'ammissibilità di un motivo d'appello, ha l'onere (nella specie, però, rimasto inadempiuto) di speci care, nel ricorso, le ragioni per cui ritiene erronea tale statuizione del giudice di appello e non suf cientemente speci co, invece, il motivo di gravame sottoposto a quel giudice, e non può limitarsi a rinviare all'atto di appello, ma deve riportarne il contenuto nella misura necessaria ad evidenziare il difetto della pretesa speci cità. 7.1. Con il secondo motivo, la società ricorrente, lamentando la violazione e la falsa applicazione degli artt. 345,112 e 101 c.p.c., nonché degli artt. 2697 1988 c.c., in relazione all'art. 360 c.p.c., ha censurato la sentenza impugnata nella parte in cui il tribunale ha rigettato l'eccezione con la quale la società appellata aveva dedotto che l'avv. V., in secondo grado, aveva svolto domande nuove e, come tali, inammissibili ai sensi dell'art. 345 c.p.c.. 7.2. Così facendo, però, ha osservato la ricorrente, il tribunale non ha considerato che l'avv. V., nel giudizio di opposizione, si era limitato a chiedere il rigetto dell'opposizione al decreto ingiuntivo e la conferma dello stesso, fondando tale domanda solo sull'asserito riconoscimento di debito, al contrario, nel giudizio d'appello, aveva proposto una domanda nuova, chiedendo l'accertamento della fondatezza (sull'an e sul quantum) della sua pretesa creditoria sulla base di un titolo diverso da quello azionato in primo grado, e cioè non più il riconoscimento del debitor ma la veri ca e la valutazione dell'opera asseritamente svolta. 8.1. Il motivo è infondato. Intanto, dev'essere ribadito il principio per cui l'opposizione a decreto ingiuntivo introduce un giudizio di cognizione nel quale il giudice deve non solo accertare l'esistenza delle condizioni che per legge consentivano l'emissione dell'ingiunzione opposta ma anche esaminare la fondatezza della domanda proposta dal creditore valutando tutti gli elementi offerti dallo stesso per dimostrare la sussistenza della pretesa azionata con il ricorso, senza, però, che sia a tal ne necessario che l'opposto formuli una specifica ed espressa domanda intesa ad ottenere una pronuncia sul merito della propria pretesa creditoria, essendo, invece, suf ciente che resista alla opposizione e chieda la conferma del decreto opposto (Cass. n.20613 del 2011; Cass. n. 9021 del 2005Cass. n. 10104 del 1996). 8.2. D'altra parte, come emerge dalla riproduzione in ricorso delle relative conclusioni, l'avv. V., con il ricorso per decreto ingiuntivo, aveva agito in giudizio deducendo, quale causa petendi, le prestazioni professionali rese nell'interesse della cooperative in un procedimento promosso innanzi al tribunale di Roma e chiedendo, quale petitum, il pagamento delle competenze conseguentemente maturate: vale a dire una domanda del tutto corrispondente a quella che, per come esposta in ricorso dalla cooperativa (p. 13 e p. 16), è stata proposta dal creditore istante nell'atto d'appello, vale a dire, mediante la conferma del decreto ingiuntivo opposto, la condanna al pagamento del compenso conseguente alle prestazioni rese nell'indicato procedimento giudiziale. 9.1. Con il terzo motivo, la società ricorrente, lamentando la violazione e la falsa applicazione dei principi regolatori della materia di cui agli artt. 2 111 Cost.artt. 1175 1375 c.c., in relazione all'art. 360 c.p.c., n. 3, ha censurato la sentenza impugnata nella parte in cui il tribunale ha rigettato l'eccezione d'improponibilità della domanda per abusivo frazionamento del credito sul rilievo per cui non era stata fornita la prova, tramite una procura generale scritta, dell'unitarietà del mandato/rapporto professionale, omettendo, però, di considerare che l'avv. V., anziché azionare l'unico e complessivo credito vantato nello stesso giudizio, aveva provveduto a frazionarlo in trentotto ricorsi per decreto ingiuntivo, fondati su altrettanti ed identici atti di riconoscimento di debito.

Per stabilire la violazione del divieto di indebito frazionamento, in effetti, ciò che rileva è l'esistenza non già di un unico rapporto obbligatorio ma piuttosto di un unico e complessivo credito interamente esigibile che, ingiusti catamente, viene parcellizzato anziché essere azionato in unico giudizio. 9.3. D'altra parte, ha aggiunto la ricorrente, il tribunale, dopo aver erroneamente affermato che l'elemento determinate per ritenere l'infrazionabilità del credito sia costituito dall'esistenza di un unico rapporto obbligatorio di mandato, ha ritenuto altrettanto erroneamente che, nel caso di specie, tale unico rapporto non sarebbe rinvenibile, trascurando, in tali modo, di considerare, in violazione delle norme processuali che regolano la valutazione delle prove ed in particolare del principio di non contestazione previsto dall'art. 115 c.p.c., che l'esistenza di un unitario rapporto di mandato era stata senz'altro dimostrata in giudizio, pur in mancanza di un contratto scritto d'opera professionale, da fatti e circostanze incontrovertibili, come il versamento da parte della cooperativa dell'importo di Euro 115.503,74 che l'avv. V. ha genericamente riferito al complessivo rapporto inter partes allora in essere, l'ammissione fatta dall'avv. V. nella comparsa di costituzione nel giudizio di primo grado circa l'esistenza di un "pluriennale mandato" con la cooperativa, e la raccomandata dell'8/7/2008 con la quale il nuovo presidente della società ha revocato il mandato all'avv. V.. 9.4. Non rileva, invece, ha concluso la società ricorrente, il fatto che, con missiva del 6/2/2009, la cooperativa aveva revocato tutti gli incarichi conferiti all'avv. V., posto che la stessa società, con precedente e principale missiva in data 8/7/2008, gli aveva effettivamente revocato il mandato. 10. Con il quarto motivo, la ricorrente, lamentando la violazione e la falsa applicazione dell'art. 2909 c.c., ha censurato la sentenza impugnata nella parte in cui il tribunale non ha considerato che, nelle more del giudizio di merito, lo stesso tribunale, con sentenza n. 17156 del 13/9/2017, passata in giudicato aveva dichiarato l'improponibilità di una delle trentotto azioni recuperatorie/monitorie proposte dall'avv. V. in quanto attuativa dell'abusiva parcellizzazione di un credito complessivo unitario. 11. Con il quinto motivo, la società ricorrente, lamentando, tra l'altro, la violazione e la falsa applicazione degli artt. 115 116 c.p.c., in relazione agli artt. 1218,1195,2697 e 2702 c.c., riguardo all'asserita mancata dimostrazione dell'estinzione della pretesa creditoria, ha censurato la sentenza impugnata nelle parti in cui il tribunale ha ritenuto che: - la società opponente non avesse provato che l'ingente somma versata al professionista fosse causalmente imputabile al credito oggetto della controversia;

- l'avv. V., a sostegno della sua pretesa creditoria, aveva prodotto in giudizio una scrittura recante il riconoscimento di debito per l'importo ingiunto a titolo di sorte capitale. Il tribunale, però, ha osservato la ricorrente, così facendo, non ha considerato, innanzitutto, che la cooperativa ha prodotto in giudizio la documentazione bancaria comprovante l'avvenuto versamento dell'importo di Euro 115.503,74, per ricompensare tutta l'attività professionale svolta dall'avv. V. nell'interesse della società, così come dallo stesso imputato, con diciture generiche, alla complessiva attività riportata sulle diciture di pagamento dallo stesso sottoscritte, ivi compresa l'attività svolta nel giudizio sotteso all'avviso di parcella di cui è causa, ed, in secondo luogo, che l'avv. V. si è limitato a produrre sessantuno fatture tendenti ad imputare, in modo diverso rispetto alla prima, i pagamenti ricevuti, senza, tuttavia, dimostrare, a fronte delle contestazioni sollevate dalla cooperativa, l'esecuzione delle prestazioni ivi indicate né che tali prestazioni asseritamente eseguite avessero fatto maturare il diritto a compensi pari all'importo complessivo di Euro 115.503,74, il cui pagamento la società ha documentamene provato. 11.1. Con il sesto motivo, la ricorrente ha lamentato la violazione e la falsa applicazione dell'art. 636 c.p.c., in relazione all'art. 1988 c.c., per la mancanza del parere dell'ordine professionale, in relazione all'art. 360 c.p.c., n. 3, censurando la sentenza impugnata nella parte in cui il tribunale ha ritenuto che fosse irrilevante la mancata allegazione del parere del consiglio dell'ordine degli avvocati a corredo della prova scritta del credito in sede monitoria. 12. Con il settimo motivo, la ricorrente ha lamentato la violazione e la falsa applicazione delle disposizioni di cui al D.Lgs. n. 231 del 2002, in relazione all'art. 360 c.p.c., n. 3. 13.1. Il quarto motivo è infondato (v. paragrafo 15) ma il terzo è fondato, con assorbimento di tutti gli altri. 13.2. Il tribunale, come detto, ha ritenuto che, ad onta di quanto affermato sul punto dall'appellante, il credito azionato dall'avv. V. con il ricorso per decreto ingiuntivo non derivava, rispetto alle pretese fatte valere con gli altri ricorsi monitori, da un unico rapporto obbligatorio, vale a dire da un unico incarico professionale che la società opponente aveva af dato all'avv. V.. 13.3. La conclusione non e', tuttavia, giuridicamente corretta. Le Sezioni Unite di questa Corte, com'e' noto, hanno affermato il principio per cui non è consentito al creditore di una determinata somma di denaro, dovuta in forza di un "unico rapporto obbligatorio", di proporre plurime richieste giudiziali di adempimento, contestuali o scaglionate nel tempo, in quanto la scissione del contenuto dell'obbligazione, così operata dal creditore per sua esclusiva utilità con unilaterale modi cazione aggravativa della posizione del debitore, si pone in contrasto sia con il principio di correttezza e buona fede, che deve improntare il rapporto tra le parti non solo durante l'esecuzione del contratto ma anche nell'eventuale fase dell'azione giudiziale per ottenere l'adempimento, sia con il principio costituzionale del giusto processo, traducendosi la parcellizzazione della domanda giudiziale diretta alla soddisfazione della pretesa creditoria in un abuso degli strumenti processuali che l'ordinamento offre alla parte, nei limiti di una corretta tutela del suo interesse sostanziale (Cass. SU n.23726 del 2007). E così, sulla scorta di tale intervento nomo lattico delle Sezioni Unite è stato, di recente, affermato che "... non è consentito al creditore di una determinata somma di denaro, dovuta in forza di un unico rapporto obbligatorio, di frazionare il credito in plurime richieste giudiziali di adempimento, contestuali o scaglionate nel tempo, in quanto tale scissione del contenuto dell'obbligazione, operata dal creditore per sua esclusiva utilità con unilaterale modi cazione peggiorativa della posizione del debitore, si pone in contrasto sia con il principio di correttezza e buona fede, che deve improntare il rapporto tra le parti non solo durante l'esecuzione del contratto ma anche nell'eventuale fase dell'azione giudiziale per ottenere l'adempimento, sia con il principio costituzionale del giusto processo, traducendosi la parcellizzazione della domanda giudiziale diretta alla soddisfazione della pretesa creditoria in un abuso degli strumenti processuali che l'ordinamento offre alla parte, nei limiti di una corretta tutela del suo interesse sostanziale" (Cass. n.19898 del 2018; conf., Cass. n. 15398 del 2019; Cass. n. 26089 del 2019; Cass. n. 9398 del 2017 e Cass. n.17019 del 2018). 13.4. Si è posto, tuttavia, il problema se il principio così affermato, secondo il quale è vietato l'indebito frazionamento di pretese dovute in forza di un "unico rapporto obbligatorio", debba, o meno, trovare applicazione (ed, eventualmente, in quali limiti) nella diversa ipotesi in cui siano state proposte distinte domande per far valere pretese creditorie diverse ma derivanti da un medesimo rapporto contrattuale, quale fonte unitaria di obblighi e doveri per le parti e produttivo di crediti collegabili unitariamente alla loro genesi, e cioè la volontà delle parti di stipulare un contratto, specie quando si tratta di controversie (recuperatorie di crediti) promosse a rapporto concluso, quando, cioè, il complesso di obbligazioni derivanti dal contratto è ormai noto e consolidato. Le Sezioni Unite, con la sentenza n. 4090 del 2017, si sono pronunciate sul punto ed hanno affermato che, in linea di principio, le domande aventi ad oggetto diversi e distinti diritti di credito, anche se relativi ad un medesimo rapporto di durata tra le parti, possono essere proposte in separati processi: tuttavia, ove le suddette pretese creditorie, oltre a far capo ad un medesimo rapporto tra le stesse parti, siano anche, in proiezione, inscrivibili nel medesimo ambito oggettivo di un possibile giudicato o, comunque, fondate sullo stesso fatto costitutivo, sì da non poter essere accertate separatamente se non a costo di una duplicazione di attività istruttoria e di una conseguente dispersione della conoscenza dell'identica vicenda sostanziale, le relative domande possono essere formulate in autonomi giudizi solo se risulti in capo al creditore un interesse oggettivamente valutabile alla tutela processuale frazionata (conf., in seguito, Cass. n. 17893 del 2018Cass. n. 6591 del 2019). La sentenza, in particolare, ha evidenziato che il principio dell'infrazionabilità del singolo diritto di credito affermato dalla sentenza n. 23726 del 2007 ("decisamente condivisibile, nella considerazione che la parte può disporre della situazione sostanziale ma non dell'oggetto del processo, da relazionarsi al diritto soggettivo del quale si lamenta la lesione, in tutta l'estensione considerata dall'ordinamento") non comporta inevitabilmente che il creditore debba agire nello stesso processo per far valere "diritti di credito diversi, distinti ed autonomi, anche se riferibili ad un medesimo rapporto complesso" intercorrente tra le medesime parti. D'altra parte, hanno ulteriormente osservato le Sezioni Unite del 2017, il creditore può, nanche in relazione ad un singolo, unico credito, agire con ricorso monitorio per la somma provata documentalmente e con il procedimento sommario di cognizione per la parte residua senza per questo incorrere in un abuso dello strumento processuale per frazionamento del credito. In effetti, "l'onere di agire contestualmente per crediti distinti, che potrebbero essere maturati in tempi diversi, avere diversa natura (ad esempio come frequentemente accade in relazione ad un rapporto di lavoro - retributiva e risarcitoria), essere basati su presupposti in fatto e in diritto diversi e soggetti a diversi regimi in tema di prescrizione o di onere probatorio, oggettivamente complica e ritarda di molto la possibilità di soddisfazione del creditore, traducendosi quasi sempre - non in un alleggerimento bensì - in un allungamento dei tempi del processo, dovendo l'istruttoria svilupparsi contemporaneamente in relazione a numerosi fatti, ontologicamente diversi ed eventualmente tra loro distanti nel tempo. E' verosimile che per questa via il processo (lungi dal costituire un agile strumento di realizzazione del credito) nisca per divenire un contenitore eterogeneo smarrendo ogni duttilità, in violazione del principio di economia processuale, inteso come principio di proporzionalità nell'uso della giurisdizione". Del resto, "l'affermazione di un principio generale di necessaria azione congiunta per tutti i diversi crediti nascenti da un medesimo rapporto di durata, a pena di improponibilità delle domande proposte successivamente alla prima, sarebbe suscettibile di arrecare pregiudizievoli conseguenze per l'economia. Se, infatti, si ha riguardo in prospettiva non solo ai crediti derivanti dai rapporti di lavoro, ma a tutti i crediti riferibili a rapporti di durata, anche tra imprese (consulenza, assicurazione, locazione, nanziamento, leasing), l'idea che essi debbano ineluttabilmente essere tutti veicolati - pena la perdita della possibilità di farli valere in giudizio- in un unico processo monstre (meno "spedito" dei processi adeguati per i singoli, differenti crediti) risulta incompatibile con un sistema inteso a garantire l'agile soddisfazione del credito, quindi a favorire la circolazione del danaro e ad incentivare gli scambi e gli investimenti". 13.5. Tuttavia, hanno aggiunto le Sezioni Unite del 2017, "se è vero... che la citata disciplina ipotizza la proponibilità delle pretese creditorie suddette in processi (e tempi) diversi, è anche vero che essa è univocamente intesa a consentire, ove possibile, la trattazione unitaria dei suddetti processi e comunque ad attenuare o elidere gli inconvenienti della proposizione e trattazione separata dei medesimi"... "nella consapevolezza che la trattazione dinanzi a giudici diversi, in contrasto con il principio di economia processuale, di una medesima vicenda "esistenziale", sia pure connotata da aspetti in parte dissimili, incide negativamente sulla "giustizia" sostanziale della decisione (che può essere meglio assicurata veicolando nello stesso processo tutti i diversi aspetti e le possibili ricadute della stessa vicenda, evitando di fornire al giudice la conoscenza parziale di una realtà arti ciosamente frammentata), sulla durata ragionevole dei processi (in relazione alla possibile duplicazione di attività istruttoria e decisionale) nonché, in ne, sulla stabilità dei rapporti (in relazione al rischio di giudicati contrastanti)". 13.6. Le Sezioni Unite, quindi, hanno affermato che, se sono proponibili separatamente le domande relative a singoli crediti distinti pur riferibili al medesimo rapporto di durata, le pretese inscrivibili nel medesimo ambito di altro processo precedentemente instaurato così da potersi ritenere già in esso deducibili o rilevabili, nonché, ed in ogni caso, le pretese creditorie fondate sul medesimo fatto costitutivo, possono anch'esse ritenersi proponibili separatamente ma solo se risulta in capo al creditore agente un interesse oggettivamente valutabile alla tutela processuale frazionata, la cui carenza, ove non sia stata dedotta dal convenuto, può essere rilevata d'uf cio dal giudice, il quale, però, è tenuto ad indicare alle parti la relativa questione ai sensi dell'art. 183 c.p.c. e, se del caso, assegnare alle stesse il termine previsto dall'art. 101 c.p.c., comma 2 (per l'applicazione di tali principi, cfr., in seguito, Cass. n. 31012 del 2017 e n. 17893 del 2018; viceversa, per l'applicazione del principio del divieto di frazionamento in caso di unico rapporto contrattuale senza ulteriori distinzioni, v. Cass. n. 4016 del 2016, la quale ha sostenuto che sussiste indebito frazionamento di pretese, dovute in forza di un unico rapporto obbligatorio, anche nel caso di unico rapporto di lavoro, fonte di crediti di natura contrattuale e legale, specie se i giudizi siano promossi quando le obbligazioni sono note e consolidate per essersi il suddetto rapporto già concluso, con conseguente necessità di evitare l'aggravamento della posizione del debitore nel rispetto degli obblighi di correttezza e buona fede contrattuali e in coerenza con il principio anche sovranazionale del giusto processo, volto alla razionalizzazione del sistema giudiziario, che non tollera frammentazioni del contenzioso con pericolo di giudicati contrastanti). 13.7. Le Sezioni Unite del 2017, quindi, dopo aver ribadito il divieto di tutela frazionata del singolo diritto di credito in plurime richieste giudiziali di adempimento (contestuali o scaglionate nel tempo), hanno affermato il principio generale per il quale, al contrario, le domande aventi ad oggetto diversi e distinti diritti di credito, pur se relativi ad un medesimo rapporto di durata tra le parti, possono essere proposte in separati processi. Ed e', naturalmente, una questione di diritto sostanziale la veri ca se la pretesa creditoria azionata sia da considerare come un unico diritto di credito (non suscettibile di tutela processuale frazionata), come nel caso del diritto al risarcimento del danno (cfr., sul punto, Cass. n.15523 del 2019) ovvero se si tratti della sommatoria delle prestazioni dovute in conseguenza di crediti distinti (che, in quanto tali, pur se relativi allo stesso rapporto di durata tra le parti, sono in linea di principio, suscettibili di tutela processuale separata, come nel caso, deciso dalle Sezioni Unite, del credito al premio al premio di fedeltà aziendale e di quello al trattamento di ne rapporto afferente al medesimo rapporto di lavoro subordinato). 13.8. Il principio della proponibilità in separati processi di domande aventi ad oggetto diversi e distinti diritti di credito, però, soffre di due possibili eccezioni, tra loro alternative, che operano nel caso in cui i suddetti diritti di credito, oltre a far capo ad un medesimo rapporto tra le stesse parti, siano anche riconducibili al "medesimo ambito oggettivo di un possibile giudicato" ovvero siano "fondati sul medesimo fatto costitutivo". Nell'una e nell'altra ipotesi, infatti, poiché le distinte pretese creditorie non possono essere accertate in altrettanti distinti giudizi se non a costo di una duplicazione dell'attività istruttoria e di una conseguente dispersione di conoscenza dell'identica "vicenda sostanziale" che ("sia pure connotata da aspetti in parte dissimili") è stata dedotta, in ragione dei differenti diritti di crediti azionati, nell'uno e nell'altro giudizio, le domande giudiziali ad esse relative non possono essere proposte separatamente, a meno che - ed è questo un dato imprescindibile - risulti dagli atti di causa che il creditore abbia un interesse oggettivamente valutabile alla loro tutela processuale separata. 13.9. La prima ipotesi (che la sentenza delle Sezioni Unite tratta espressamente) si con gura, come detto, nel caso in cui le distinte pretese creditorie conseguenti al medesimo rapporto contrattuale tra le parti "sono in proiezione inscrivibili nel medesimo ambito oggettivo di un possibile giudicato" perché hanno in comune le questioni relative all'esistenza del rapporto stesso ovvero alla validità o all'ef cacia del relativo titolo. La giurisprudenza di questa Corte, in effetti, ritiene che, in caso di rapporti contrattuali complessi, il giudicato - che pure ha per oggetto esclusivo la singola situazione giuridica soggettiva azionata (che segna, quindi, i suoi limiti oggettivi) e non produce quindi alcun effetto preclusivo in ordine agli altri diritti derivanti dal medesimo rapporto né ai diritti maturati in relazione a differenti segmenti o frazioni dello stesso, copre, tuttavia, in quanto necessariamente compreso nell'ambito oggettivo della prima domanda, anche l'accertamento già compiuto in ordine alle questioni di fatto e di diritto comuni ad entrambe le domande (come l'esistenza del rapporto stesso dal quale lo stesso trae origine oppure la validità e l'ef cacia del relativo titolo), quale necessario presupposto logico-giuridico del diritto fatto valere (cfr., in tal senso, Cass. SU n. 15896 del 2006Cass. SU n. 13916 del 2006; di recente, Cass. n. 5486 del 2019Cass. n. 13152 del 2019Cass. n. 28318 del 2017; in materia di lavoro, in particolare, Cass. n. 9317 del 2013, in motiv., Cass. n. 4282 del 2012, in motiv.). In tali situazioni, quindi, secondo le Sezioni Unite, onde evitare il rischio di giudicati contrastanti e la duplicazione dell'attività istruttoria ma anche per favorire la giustizia sostanziale delle decisioni e la rapida de nizione della controversia tra le parti, la domanda che abbia ad oggetto una delle pretese scaturenti dal rapporto contrattuale non può essere proposta separatamente da quella che abbia ad oggetto una distinta pretesa derivante dal medesimo rapporto contrattuale quando, sia pur soltanto nei limiti delle questioni di fatto e di diritto comune ad entrambe le domande (quali l'esistenza, la validità e l'ef cacia del rapporto stesso), la seconda è già compresa nell'ambito oggettivo del primo giudizio ("l'ordinamento guarda con particolare attenzione alle domande connesse che, pur legittimamente, siano state proposte separatamente, e, con riguardo alle domande inscrivibili nel medesimo "ambito" oggettivo di un ipotizzabile giudicato, pur non escludendone la separata proponibilità, prevede, tuttavia, un meccanismo di "preclusione" dopo il passaggio in cosa giudicata della sentenza che chiude uno dei giudizi, e comunque uno speci co rimedio impugnatorio per la sentenza contraria a precedente giudicato tra le stesse parti, con una disciplina dettata dall'esigenza di evitare, ove possibile, la "duplicazione" di attività istruttoria e decisoria, il rischio di giudicati contrastanti, la dispersione dinanzi a giudici diversi della conoscenza di una medesima vicenda sostanziale"), con salvezza, naturalmente, del caso in cui il creditore sia portatore di un interesse oggettivamente valutabile alla tutela frazionata delle pretese. 13.10. L'altra ipotesi (che non è speci camente trattata dalle Sezioni Unite se non in sede di decisione sul ricorso, che ha rigettato sul rilievo che, essendo stati azionati crediti non solo tra loro distinti ma anche fondati su una differente fonte, una contrattuale ed una legale, non si poneva alcuna necessità di veri care la sussistenza di un apprezzabile interesse del creditore per giusti care la tutela frazionata) si riferisce al caso in cui le pretese creditorie, oltre a far capo ad un medesimo rapporto tra le stesse parti, siano anche fondate sul "medesimo fatto costitutivo": dovendosi, evidentemente, ritenere come tale, onde evitare la contraddizione che non lo consente, non già il medesimo fatto storico costitutivo del diritto ai sensi dell'art. 1173 c.c., poiché in tal caso si con gurerebbe in realtà l'ipotesi del "medesimo diritto" di credito (per il quale, come detto, il divieto di tutela giudiziale frazionata è stato già sancito dalle SU con la sentenza n. 23726 del 2007: si pensi, ad esempio, al credito relativo al prezzo dovuto per una singola fornitura o al compenso spettante per un singolo incarico professionale), ma come fatto (sia pur storicamente diverso ma) della stessa natura di quello che, nell'ambito del medesimo rapporto tra le parti, è stato già dedotto in giudizio: l'uno e l'altro, quindi, costitutivi di più crediti ontologicamente distinti (pur se riconducibili allo stesso rapporto tra le parti) ma tra loro giuridicamente simili (come, ad esempio, ai corrispettivi dovuti in conseguenza di distinte forniture rese in esecuzione del medesimo contratto quadro, ai compensi dovuti per l'esecuzione di differenti incarichi resi nell'ambito del medesimo contratto di consulenza professionale, ecc.). In siffatte situazioni, quindi, il creditore, che ha maturato pretese tra loro distinte (per i differenti fatti storici da cui hanno avuto origine), e, come tali, insuscettibili di essere coperte, salvo che per le questioni comuni, dal giudicato formatosi sul diritto relative ad un diverso periodo dello stesso rapporto di durata tra le parti (Cass. n. 4282 del 2012, in motiv., in cui è ripetuto che nei rapporti di durata i singoli periodi individuano titoli differenti pertanto insuscettibili, comunque, di essere "forzosamente" coperti dal giudicato unitario; conf. Cass. n. 9317 del 2013, in motiv.) - ma (oltre che riconducibili al medesimo rapporto, anche) fondate su fatti costitutivi (che, pur se storicamente distinti, sono) tra loro simili o analoghi, non può agire per la loro tutela processuale proponendo distinte domande giudiziali (a meno che non abbia un interesse apprezzabile alla separazione dei relativi processi). 13.11. Il Collegio ritiene che tale soluzione debba trovare necessariamente applicazione, per l'evidente comunanza di ratio, non soltanto al caso (del quale le Sezioni Unite si sono occupate) del creditore (asseritamente) titolare di distinte pretese creditorie ma riconducibili a distinti (ma simili) fatti costitutivi che si sono veri cati nell'ambito del medesimo rapporto contrattuale, come quello di lavoro subordinato, che ne abbia disciplinato il compimento (le prestazioni lavorative) e gli effetti (il credito alle conseguenti retribuzioni), ma anche al caso in cui le pretese creditorie separatamente azionate siano riconducibili a fatti costitutivi storicamente distinti che si sono veri cati nel contesto di un rapporto di durata tra le parti che non ha avuto origine nella stipulazione di un contratto che ne regolasse gli effetti: (quanto meno) tutte le volte in cui si tratti di fatti che, seppur distinti, sono tra loro simili (come l'esecuzione di distinti incarichi professionali ovvero di distinte forniture: che e', a bene vedere, proprio il caso deciso dalle Sezioni Unite nella sentenza n. 23726 del 2007, relativa, appunto, ad una vicenda in cui una società aveva chiesto e ottenuto "un distinto decreto ingiuntivo per ogni fattura (o gruppo di fatture) non pagata") ed, in quanto tali, idonei a costituire, tra le stesse parti, diritti di credito giuridicamente eguali, come i crediti ai corrispettivi dovuti per le distinte forniture ovvero dei compensi dovuti per l'esecuzione di differenti incarichi professionali (cfr., in tal senso, in motivazione Cass. n.31308 del 2019, relativa a credito professionale e Cass. n. 24130 del 2020). 13.12. In tali (e in altre simili) ipotesi, infatti, la contemporanea sussistenza tra le stesse parti di crediti giuridicamente eguali, che, pur se non conseguenti allo stesso contratto, siano nondimeno riconducibili (come pretendono le Sezioni Unite) al medesimo "rapporto" che, nel corso del tempo, si sia venuto a determinare (anche se in via di mero fatto) tra loro, ne impone la deduzione (ove esigibili) nello stesso giudizio. E ciò in ragione dei doveri inderogabili di correttezza e buona fede che derivano dal più ampio "contatto sociale" tra esse così formatosi e che devono improntare, in termini di salvaguardia e di protezione dell'altrui interesse (art. 2 Cost.), i comportamenti delle parti, oltre che durante l'esecuzione dei singoli contratti, anche nella fase della tutela giudiziale dei relativi diritti di credito (cfr. Cass. SU n. 23726 del 2007Cass. n. 9317 del 2013, in motiv.), evitando di aggravare (si pensi, ad esempio, alla moltiplicazione degli oneri conseguenti alle spese processuali), con plurime iniziative giudiziarie, la posizione della controparte. 13.13. In tali situazioni, in effetti, l'interesse sostanziale del creditore (salvo, naturalmente, che non sia dedotto e provato il contrario) può essere adeguatamente tutelato anche con una domanda unitaria, trattandosi, a ben vedere, di pretese sì distinte sul piano giuridico ma, in sede definitiva, concernenti pur sempre la "medesima vicenda esistenziale" e "sostanziale" (sia pure connotata da aspetti in parte dissimili): la cui trattazione dinanzi a giudici diversi, come le Sezioni Unite hanno espressamente evidenziato, incide negativamente non solo sulla "giustizia" sostanziale della decisione, che può essere meglio assicurata veicolando nello stesso processo tutti i diversi aspetti e le possibili ricadute della stessa vicenda, evitando di fornire al giudice la conoscenza parziale di una realtà arti ciosamente frammentata, ma anche sulla durata ragionevole dei relativi processi, in relazione alla possibile duplicazione di attività istruttoria e decisionale su vicende fattualmente distinte ma tra loro simili e, spesso, connotate dall'esecuzione di prestazioni analoghe in contesti temporali ristretti (si pensi alle diverse consegne dei beni forniti all'acquirente ad opera dello stesso vettore che sia chiamato a rendere le relative testimonianze) nonché, in ne, sulla stabilità dei rapporti, in relazione al rischio di giudicati contrastanti. Si pensi, in particolare, all'eccezione (sollevata proprio dalla società ricorrente) di imputazione dei pagamenti eseguiti nel corso del tempo, la quale, evidentemente, può essere senz'altro meglio apprezzata dal giudice di merito proprio se tutte le domande relative ai crediti eventualmente residui siano state proposte nello stesso giudizio a prescindere dalla loro riconducibilità allo stesso o a distinti contratti, onde evitare il rischio (che in caso di proposizione separata delle relative domande può riverberarsi tanto ai danni del creditore che agisce per il loro pagamento, quanto ai danni del debitore che eccepisce di averne eseguito il pagamento) che i pagamenti eseguiti siano ritenuti, da alcuni giudici, estintivi del singolo credito azionato, pur essendo imputabili a crediti che hanno costituito l'oggetto di domande proposte in distinti processi, e, da altri giudici, invece, imputati ai crediti azionati con altre domande (o, addirittura, a crediti non azionati) pur avendo, in realtà, estinto proprio il credito vantato in quel giudizio. 13.14. Di tale esigenze, del resto, si è fatta carico la giurisprudenza delle Sezioni Unite anche in altre decisioni, come è accaduto, in particolare, con la sentenza n.12310 del 2015 in materia di modi cabilità della domanda ai sensi dell'art. 183 c.p.c.. Tale sentenza, in effetti, ha ribadito l'esigenza "di realizzare, al ne di una maggiore economia processuale ed una migliore giustizia sostanziale, la concentrazione nello stesso processo e dinanzi allo stesso giudice delle controversie aventi ad oggetto la medesima vicenda sostanziale (basti pensare alle disposizioni codicistiche in tema di connessione o di riunione di procedimenti)", e, quindi, di evitare che, una volta proposta una domanda innanzi ad un giudice, sia, poi, proposta una nuova domanda (con indubbio spreco di attività e risorse) dinanzi ad un altro giudice che sia chiamato a conoscere della medesima vicenda, sia pure sotto aspetti in parte dissimili, con effetti incidenti negativamente tanto sulla "giustizia" sostanziale della decisione (che può essere meglio assicurata proprio se sono veicolati nel medesimo processo tutti i vari aspetti e le possibili ricadute della medesima vicenda sostanziale ed "esistenziale", evitando di fornire al giudice la conoscenza di una realtà sostanziale arti ciosamente frammentata con l'effetto di determinarne una visione parziale), quanto sulla ragionevole durata dei processi (valore costituzionale da perseguire anche nell'attività di interpretazione delle norme processuali da parte del giudice che sia idonea "a favorire una soluzione della complessiva vicenda sostanziale ed esistenziale portata dinanzi al giudice in un unico contesto invece di determinare la potenziale proliferazione dei processi, essendo appena il caso di aggiungere che sulla irragionevole durata di un processo non incide (sol)tanto ciò che rileva all'interno di quel processo quanto il numero complessivo dei processi contemporaneamente pendenti che ne condiziona la gestione"; in quest'ultimo senso, del resto, si erano già pronunciate le Sezioni Unite nella citata sentenza n. 23726 del 2007, rilevando "... l'evidente antinomia che esiste tra la moltiplicazione dei processi e la possibilità di contenimento della correlativa durata"). 13.15. Le Sezioni Unite di questa Corte, d'altra parte, in tema di responsabilità disciplinare a carico degli avvocati, hanno affermato che costituisce violazione dell'art. 49 del codice deontologico forense l'intraprendere contro la stessa parte assistita iniziative giudiziarie plurime e non giusti cate da un effettivo e necessitato sviluppo processuale, a tutela delle proprie ragioni economiche relative ad un rapporto professionale svoltosi continuativamente per un lungo periodo di tempo, così da aggravare la posizione della controparte, costretta a sostenere il cumulo delle spese giudiziali, invece di procedere ad un accorpamento delle posizioni in contestazione (Cass. SU n. 14374 del 2012, che si è pronunciata, riconoscendo la responsabilità disciplinare dell'avvocato, in una vicenda nella quale l'incolpato era stato accusato di avere promosso contro il suo cliente "una pluralità di azioni giudiziarie per recuperare i crediti... per compensi professionali, così aggravando la posizione della debitrice, senza che ciò corrispondesse ad effettive ragioni di tutela dei crediti..."). Le Sezioni Unite, in particolare, hanno evidenziato che: - "il rapporto professionale, svoltosi continuativamente per un lungo periodo temporale fra le parti, avrebbe dovuto, anche sul piano della richiesta dei compensi, sfociare, quantomeno, in un accorpamento delle posizioni in contestazione, per un loro esame globale e complessivo. L'avere, viceversa, con iniziative plurime, e non giusti cate da un effettivo e necessitato sviluppo processuale, aggravato la posizione della controparte, costretta a sostenere il cumulo delle spese giudiziali a suo carico, conduce, quindi, a ritenere sussistere la violazione deontologica contestata"; - "i principi di buona fede oggettiva e di correttezza, per la loro ormai acquisita costituzionalizzazione in rapporto all'inderogabile dovere di solidarietà di cui all'art. 2 Cost., costituiscono un autonomo dovere giuridico ed una clausola generale, che non attiene soltanto al rapporto obbligatorio e contrattuale, ma che si pone come limite all'agire processuale nei suoi diversi pro li; e che impone di mantenere, nei rapporti della vita di relazione, un comportamento leale, volto anche alla salvaguardia dell'utilità altrui, nei limiti dell'apprezzabile sacri cio (v. anche S.U. 23.12.2009, n. 27214; Cass. 22.12.2011, n.28286). Principio, questo ripreso anche dall'art. 88 c.p.c., per il quale le parti e i loro difensori devono comportarsi in giudizio con lealtà e probità; applicabile, quindi, anche con riferimento ai doveri deontologici".

13.16. In de nitiva, il principio enunciato nella sentenza delle Sezioni Unite n. 4090 del 2017 - alla cui stregua i diritti i quali, oltre a far capo ad un medesimo rapporto di durata tra le stesse parti, sono anche, in proiezione, inscrivibili nel medesimo ambito oggettivo di un possibile giudicato o comunque "fondati" sul medesimo fatto costitutivo non possono essere azionati in separati giudizi, a meno che il creditore non risulti titolare di un interesse oggettivamente valutabile alla tutela processuale frazionata - va inteso con la duplice speci cazione che: a) l'espressione "medesimo rapporto di durata" deve essere letta in senso storico/fenomenologico: alla parola "rapporto" va, cioè, assegnato non il signi cato tecnico-giuridico di coppia diritto/obbligazione derivante da una della cause elencate nell'art. 1173 c.c., bensì il signi cato di relazione di fatto realizzatasi tra le parti nella concreta vicenda da cui deriva la controversia; b) nell'espressione "medesimo fatto costitutivo", l'aggettivo "medesimo" va letto con riferimento non all'identità ma alla qualità, e quindi non come sinonimo di "identico" ma come sinonimo di "analogo". 13.17. Alla stregua delle precisazione che precedono, la Corte enuncia il seguente principio di diritto: "le domande relative a diritti di credito analoghi per oggetto e per titolo, in quanto fondati su analoghi, seppur diversi, fatti costitutivi, non possono essere proposte in giudizi diversi quando i relativi fatti costitutivi si inscrivano nell'ambito di una relazione unitaria tra le parti, anche di mero fatto, caratterizzante la concreta vicenda da cui deriva la controversia. Tale divieto processuale non opera quando l'attore abbia un interesse oggettivo, il cui accertamento compete al giudice di merito, ad azionare in giudizio solo uno, o solo alcuni, dei crediti sorti nell'ambito della suddetta relazione unitaria le parti. La violazione dell'enunciato divieto processuale è sanzionata con l'improponibilità della domanda, ferma restando la possibilità di riproporre in giudizio la domanda medesima, in cumulo oggettivo, ai sensi dell'art. 104 c.p.c., con tutte le altre domande relative agli analoghi crediti sorti nell'ambito della menzionata relazione unitaria tra le parti". 14. La sentenza impugnata, avendo dato esclusivo rilievo alla riscontrata inesistenza, in punto di fatto, di un unico incarico professionale che la società opponente aveva af dato all'avv. V., non si e', evidentemente, attenuta al principio esposto: e dev'essere, quindi, in parte qua, cassata, con assorbimento di tutti gli altri motivi. 15. Il principio di diritto in precedenza affermato induce, in ne, ad escludere ogni rilievo alla sentenza n. 17156/2017, passata in giudicato, con la quale, in data 13/9/2017, il tribunale di Roma ha accertato l'esistenza di un unico rapporto professionale tra l'opponente e l'avv. V. pur a fronte di distinte procure difensive ed ha, quindi, dichiarato l'improponibilità di una delle azioni recuperatorie proposte da quest'ultimo proprio in quanto frutto dell'indebito frazionamento dell'unico credito ad esso riconducibile. La natura meramente processuale del vizio conseguente alla violazione del divieto di indebito frazionamento del credito, vale a dire l'improponibilità della domanda, esclude, invero, che la statuizione che ne abbia affermato la sussistenza, contenuta in una sentenza pronunciata in altro giudizio tra le stesse parti e passata in giudicato, possa esplicare ef cacia preclusiva di una sua differente soluzione in altro giudizio, pendente tra le stesse parti, in cui, come quello in esame, la medesima questione sia stata dedotta o comunque rilevata. La statuizione su una questione processuale dà luogo, in effetti, ad un giudicato meramente formale ed ha, come tale, un'ef cacia preclusiva limitatamente al giudizio in cui è stata pronunciata (cfr. Cass. n. 23130 del 2020; n.10641 del 2019; Cass. n. 7303 del 2012Cass. n. 22212 del 2004Cass. n. 17248 del 2003) ma non impedisce né che la medesima questione sia riproposta in un successivo giudizio tra le stesse parti, né, a fortiori, che, in quest'ultimo giudizio, la predetta questione sia, com'e' accaduto nel caso in esame, diversamente risolta, dichiarando, cioè, la proponibilità della domanda. 16. Il ricorso dev'essere, pertanto, accolto e la sentenza impugnata, per l'effetto, cassata con rinvio, per un nuovo esame, al tribunale di Roma che, in differente composizione, si atterrà al principio di diritto enunciato e provvederà anche sulle spese del presente giudizio.

P.Q.M.

La Corte così provvede: rigetta il primo, il secondo ed il quarto motivo di ricorso, accoglie il terzo, assorbiti gli altri; cassa, in relazione al motivo accolto, la sentenza impugnata con rinvio, per un nuovo esame, al tribunale di Roma che, in differente composizione, provvederà anche sulle spese del presente giudizio.

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